Cinema

Febbre da cavallo

DETTAGLIO

Anno: 1976
Titolo: Febbre da cavallo
Ruolo: Bruno Fioretti "Mandrake"
Data di uscita: 29/10/1976
Produzione: Roberto Infascelli

CAST ARTISTICO

Luigi Proietti
Enrico Montesano
Catherine Spaak
Mario Carotenuto
Francesco De Rosa
Marina confalone
Gigi Ballista
Maria Teresa Albani
Nikki Gentile
Adolfo Celi
Ennio Antonelli
Nerina Montagnani
Renzo Ozzano
Giancarlo Gregorini
Giuseppe Castellano
Luciano Bonanni

CAST TECNICO

Regia: Steno

Soggetto: Massimo Patrizi

Sceneggiatura: Alfredo Giannetti, Enrico Vanzina, Steno

Fotografia: Emilio Loffredo

Montaggio: Raimondo Crociani

Scene: Franco Bottari

Costumi: Bruna Parmesan

Musiche: Franco Bixio, Fabio Frizzi, Vince Tempera

Produttore: Roberto Infascelli

CRITICA
"Flanbeurs o gamblers cheromanticamente chiamar sivogliano, i « giocatori perdannazione » assumono unaintuibile connotazione pittoresca nel sottobosco dell'ippica romana. I nostri protagonisti sono, infatti, quei simpatici e miserabili dissolutiche incarnano in modo estremo le disperate ansie di unsottoproletariato rifugiatosiin magiche evasioni dallarealtà. «Mandrake» (un soprannome che, non per nulla, proviene dalla fumettistica più ardita) e «Pomata »corrono su e giù per la penisola, ben più veloci dei cavalli su cui puntano, avendo per mèta un ippodromoqualunque, una scommessaqualsiasi. E vanno svelti, dimenando i loro stracci, perché alle calcagna c'è semprequalche finanziatore suo malgrad. truffato o letteralmente derubato.Anche al cinema, la figuradel giocatore si è sempre dimostrata un pozzo senza fondo (quando ci si chiama Altman, si può farne addiritturaun California Poker), ma unmestierante come Steno nonpuò che imboccare sempre ilvicolo oscuro. Preda di un insano rigore, il regista ripropone all'infinito i viziacci della peggiore commedia all'italiana, e non sa trovare deiretroscena ai suoi film nemmeno quando è la stessa materia ad offrirglieli. La cifrapiù deplorevole di Febbre dacavallo è proprio il linguaggio pararealistico, che dà vitaad un prodotto neppure verosimile (e pensare che Steno ha bivaccato a lungo all'ippodromo di Tor di Valle).Luigi Proietti nei panni di«Mandrake» sopravanza decisamente Enrico Montesano.ma non è certo un trionfo".
D.G. L'Unità 30/10/1976

"Il gusto, il vizio e l'ossessione del gioco comunque inteso, nelle infinite sfumature di una tra »«malattia» che varia fra il puntiglio gratuito della scommessa da vincere e la ricerca impellente di un guadagno non conquistabile altrimenti, dovrebbero, a prima vista, essere intesi come i temi di questo ennesimo film, Febbre da cavallo, licenziato da un regista prolifico, esperto, navigatissimo, ma soprattutto spesso anche sbrigativo e arruffone (tolte certe apprezzabili eccezioni) quale è il simpatico Steno, «specialista» nel genere comico al quale per fortuna si riallaccia, nel caso, dopo l'incresciosa circostanza di essersi fatto capostipite, con La polizia ringrazia, e sostituendo per giunta al solito pseudonimo la firma veritiera e precisa che gli appartiene, cioè Stefano Vanzina, di un "filone" già discutibilissimo in cui il suo primo modello è subito degenerato nel più deprecabile qualunquismo fascistoide. Ma restiamo ai temi del gioco, delle scommesse, della "febbre" che è in questo caso «da cavallo», come in altre innumerevoli occasioni, nella letteratura e nel cinema, fu  «da roulette», «da bigliardo», «da poker», e da ogni altro spunto d’azzardo e da competizione, di speranze ostinate e di sconfitte roventi, sino ai confini della follia e dell’autodistruzione. Per stare solo al cinema, sembra superfluo ricordare i frequenti e talora eccellenti modelli forniti sull’argomento, in particolare dagli americani (basti citare il più recente: l’eccellente California Poker di Altman) E non c'è dubbio che Steno, di tali modelli, abbia tenuto un qualche conto. Ma il fatto desolante è che i suoi «conti», lo stesso regista, li abbia trascritti e aggiornati dalle tante precedenti «farse all’italiana» firmate da lui stesso e dai tanti altri registi che ne hanno seguito il tratto sgangherato e pecoreccio. Aggiungete; in più, un certo rimasticamento di Amici miei (la trafila delle beffe dei furbeschi inganni, e soprattutto il finale, con il suo senso di un ilare recidività)e non avrete altro da aspettarvi che un mediocre incalzar di aneddoti e barzellette mediocri, di battutine facili, di scherzi e trovate altrettanto prevedibili che insulsi.I «giocatori» principali, nel corso di una storiella che riguarda l’ambiente ippico e più precisamente le corse al trotto fra Roma, Napoli e Cesena, sono un Gigi Proietti certamente bravo ma decisamente sciupato nell’occasione (anche se trova il modo di esprimere in qualche modo il senso e lo spirito della passione per la scommessa nella «scena madre» di un grottesco processo conseguente a una corsa truccata) e un Enrico Montesano che risulta invece piuttosto deprimente, spinto com’è dal regista ad oltrepassare i propri limiti di modestissimo comico d’avanspettacolo. Capita di vedere anche Catherine Spaak, e fa una certa impressione il fatto di trovarla, ancora così giovane, e dopo tante promesse, già incamminata, scialba e intristita, sul viale di un evidentissimo tramonto."

G.M.G. Il Corriere della Sera 31/10/1976