"...Carlo Vanzina, quando gli chiediamo quale «stile» preferisca, non ha esitazioni:«Walter Chiari era un raccontatore spettacoloso. Ci ricamava, le riempiva di divagazioni. Le cambiava a seconda della reazione del pubblico. Poteva farle durare giorni.Oggi il suo erede è Gigi Proietti, che nellavita è un autentico `collezionista´ di barzellette, le memorizza, le rimugina, le arricchisce, le cesella e ti ammazza dalle risate».Vanzina, Proietti. Arriviamo al dunque.Domani esce nelle sale Le barzellette, il nuovo film dei fratelli terribili, diretto da Carlo e da lui scritto assieme ad Enrico. Proietti è il mattatore, accanto a una squadra di comici composta da Carlo Buccirosso, Max Giusti, i Fichi d´India, Biagio Izzo, Enzo Salvi e tanti altri. Vabbè, tenetevi forte: il film rasenta la genialità nel suo essere scombiccherato, trash, volgarotto, veloce, spudorato e politicamente scorretto. C´è anche una barzelletta sui cannibali che parlano in stile «zì badrone», c'è un feroce sberleffo al lifting del premier e non manca una botta agli extracomunitari (un mendicante chiede a Salvi «dammi un euro, io povero, io ceceno», e Salvi ribatte in romanesco: «beato te che ce ceni, io nun ce compro manco du´ caffè»). È giusto così perché la barzelletta non deve rispettare nessuno. La barzelletta deve sfottere politici, mogli & mariti, fanti & santi; deve parlare di sesso, di escrementi, di flatulenze; non deve aver paura né di Dio né della morte. E così può giungere alla filosofia, come nella mirabile scena in cui Proietti, contadino/burino, canta le lodi della mucca bianca e trascura la mucca nera. Scombiccherato, dicevamo. In apparenza. Pur tirando in ballo piattole e orifizi, corna e parolacce, Le barzellette ha una struttura narrativa invisibile e raffinatissima. Come spiegano i Vanzina nell'intervista accanto, la scelta è quella del non-racconto: non c'è una storia, gli attori interpretano decine di personaggi, barzellette si susseguono a barzellette eppure sottilissimi rimandi le legano l'una all'altra, un po' come Luis Bunuel legava gli episodi apparentemente incongrui del Fantasma della libertà. Si inizia con una citazione teatrale da Senso di Visconti e si finisce sullo stesso teatrino della vita, con un sipario che si chiude. L'ambizione non è sociologica: più volte s'è detto che i Vanzina sono stati, e sono, gli spietati analisti dell'Italia dagli anni '80 in poi, ma stavolta Carlo edEnrico puntano più in alto.Non analizzano l´Italia, la MOSTRANO nella sua essenza più profonda, smascherando i meccanismi della comicità nelle sue forme più alte e più basse.Perché la barzelletta non è un genere, ma un super-genere; è greve e raffinata, eterea e corporea, sublime e becera. E nel film, questi aggettivi ci sono tutti. Vi sembra strano che un film dei Vanzina ci spinga a simili riflessioni? È una scommessa, accettiamo il rischio che usciti dal cinema ci togliate il saluto. Noi, vedendolo, abbiamo riso molto e in almeno due occasioni (Proietti avvocato e Proietti direttore d´orchestra) abbiamo rischiato il collasso da riso convulso. E ora ve lo confessiamo, coscienti che non c'è nulla di peggio dei critici che prima sghignazzano e poi pontificano. Perché ridere «non fa fino», come dice Proietti: e invece «è bello ridere», come diceva Peter Sellers. E comunque alle barzellette è ricorso anche il supremo Ernst Lubitsch, nella scena di Ninotchka in cui Melvyn Douglas vuole far ridere Greta Garbo. Ricordate? «Allora, ci sono due scozzesi che si incontrano per strada, uno si chiama MacIlicody e l´altro Macintosh. MacIlicody chiede a Macintosh: 'come stai, Macintosh?', e Macintosh chiede a MacIlicody: 'come stai, MacIlicody?'. E allora Macintosh chiede a MacIlicody 'come sta la signora MacIlicody?', e MacIlicody chiede a Macintosh 'come sta la signora Macintosh?'...». La Garbo lo interrompe, lapidaria: «Era meglio se non si incontravano». Poi ride solo quando l'azzimato Douglas casca dalla sedia. Beh, noi abbiamo rischiato di cadere dalla sedia vedendo
Le barzellette, e pensiamo che sia meglio che i Vanzina e Proietti si siano incontrati, per questo film."
Alberto Crespi, 04/02/2004 L'Unità
"...E' chiaro che un film intitolato Le barzellette non va in paradiso, ma bisogna riconoscere ai Vanzina di aver imbastito con professionalità facendo emergere vaghi spunti narrativi e concedendosi molte cadute di gusto senza incappare nelle cadute di ritmo. E Gigi Proietti, formidabile erede della generazione dei «colonnelli della risata», vale il prezzo del biglietto: il racconto del sogno degli amorazzi con le dive, che all'attonito Gianfranco Barra, potrebbe diventare un classico come il «Sarchiapone» di Walter Chiari."
Tullio Kezich, 07/02/2004 Il Corriere della Sera
“…Difatti le barzellette è forse il film più “d'avanguardia", ci si passi la parolaccia, dei Vanzina. Un oggetto in classificabile che è insieme il grado zero del cinema comico e la sua più intima essenza. Un contenitore discontinuo ma affascinante, come le barzellette che veicola e soprattutto gli attori chiamati a farle vivere con i risultati più diversi. Perché naturalmente la struttura della storiella (e il suo incoercibile cattivo gusto) fa a pugni con qualsiasi drammaturgia, ma proprio questo rende la sfida almeno curiosa. Cosa che non si può dire di tanti campioni d’incassi del nostro cinema “comicarolo”.
E poi fra tante barzellette ce ne sono diverse irresistibili. In testa quelle interpretate da un immenso Gigi Proietti. Ma noi abbiamo un debole anche per il tormentone di Carlo Buccirosso, filo conduttore del film. E per i Fichi d'India, comici all'antica perfetti per quelle storielle dove è la situazione in sé a far ridere (tipo i marziani sbarcati nelle campagne venete), senza aspettare lo scioglimento. Qualcuno, magari evocando i sublimi Chiari e Bramieri, dirà che la barzelletta è oralità, immaginazione, allusione, che si consuma al bar e il cinema è di troppo. Ma aspettate di vedere Proietti e ne riparliamo.”
F.Fer. 06/02/2004, Il Messaggero