Teatro - interprete

Caro Petrolini

Foto di Tommaso Le Pera
Foto di Tommaso Le Pera

DETTAGLIO

Anno: 1983
Titolo: Caro Petrolini
Ruolo: Petrolini, Tiberio, Archimede, Benedetto
Data di debutto: 15/03/1983
Teatro del debutto: Teatro Argentina
Città del debutto: Roma

CAST ARTISTICO

Luigi Proietti, Paila Pavese, Raffaele Arzilli, Danila Caccia, Franco Chirico, Sandra Collodel, Ennio Coltorti, Renato D'Amore, Claudio De Pasqualis, Germana Di Giannicola, Orsetta Gregoretti, Francesca Loriga, Fabrizia Magaglio, Nino Salvemini, Giorgio Tirabassi, Eugenio Zacchi

CAST TECNICO

Autore: di Ugo Gregoretti da Ettore Petrolini

Regia: Ugo Gregoretti

Scene: Eugenio Guglielminetti

Costumi: Mariolina Bono

Coreografie: Christine Kenneally

Adattamento musicale e orchestrazioni: Mario Vicari

CRITICA
“Caro Petrolini, lo spettacolo in due tempi che Ugo Gregoretti ha tratto da copioni di varietà da commedie del celebre attore romano, curandone la regia, è soprattutto spettacolo d’interprete, più che d’autore: e l’interprete è quel vero e proprio «mostro» scenico di Gigi Proietti. Vogli dire che dinanzi a testi entrati a pieno diritto nella storia teatrale e culturale del Novecento, dinanzi ai celeberrimi contromonologhi petroniani, alle almanaccatissime e perciò sgangheratissime canzonette, Gregoretti e Proietti non si sono, giustamente, posti il problema del rifacimento museografico della mimesi il più possibile aderente all’originale: li hanno presi per ciò che ormai sono, brani di altissimo repertorio, quarti di irriverente antistorica morale degli italiani; e come tali li hanno liberamente e scenicamente rivissuti. Così durante la prima parte dello spettacolo, lungo oltre tre ore ( e qualcosa sarebbe ancor possibile qua e là sfrondare), Proietti, visitatore curioso e divertito di un’odierna mostra di cimeli di Petrolini, ha sì ripercorso tutta la galleria delle parodie petroniane, dall’infelicissimo Amleto a quel vagamente equivoco Nerone premussoliniano, ma non ha tentato di rifare il verso al loro creatore, ha liberamente reinventato accenti, toni, gesti e movenze nell’esclusivo rispetto della partitura letteraria; e talvolta, come dinanzi alla Canzone delle cose morte, innestando, molto a proposito, una irresistibile sequenza parodica dal Piacere di D’Annunzio, che era uno dei bersagli prediletti, com’è noto, del comico romano.
Credo che questa prima parte sarà quella che scontenterà di più i patiti di Petrolini, che a Roma sono legioni, perché non vi ritroveranno l’attore com’era; ma a parte che la sua vera fisionomia d’interprete è al novanta per cento induttiva, hanno ragione Gregoretti e Proietti a trattarlo così, come un oScarpetta, un Viviani, un Petito, cioè soprattutto come un autentico drammaturgo. Lo si vede chiaro, del resto, nella seconda parte della serata, dove Gregoretti ha ridotto e innestato l’una nell’altra, ad incastro, tre commedie vere e proprie di Petrolini, Il padiglione delle meraviglie, Romani de Roma e Benedetto fra le donne…
Romani de Roma è un perfetto pre Jonesco di borgata, con quel ritratto del calzolaro Archimede, che vive tutto e soltanto della sua prosopopea di ubriacone visionario, o Benedetto tra le donne sfodera qua e là accenti persino sinistri da quella parade grottesco-erotica di bulletti di quartiere, ragazzo in odor di bordello e targone maliarde.
I tre atti unici embricati l’uno nell’altro sono, lo avrete già capito, un’occasione unica per il trasformismo mimetico-interpretativo di Proietti, che mai come stavolta abbiamo visto proteso a trarre il massimo d’effetto dalla menoma invenzione mimico-gestuale; un attore, insomma, che qui dimette l’antica zimarra dell’aggressività geniale e a tratti sregolata per un recitar d’impeto, ma tutto sotto controllo. E il suo Archimede è un prodigio di tempismo nelle controbattute, il Benedetto un automa dello sberleffo, con quell’andatura a compasso, da Don Giovanni reumatico.
Sono con lui Paila Pavese e una dozzina di attori, giovani soprattutto, infervorati e, si diceva una volta, molto dediti. Applausi generosi, risate continue nella seconda parte.
Guido Davico Bonino 18/03/1983 La Stampa

“…Ma l’Archimede ciabattino filosofo e ubriacone di Romani de Roma, e quel Benedetto dalle arie di bullo, che sopravvive con miserabili espedienti («mascalzone imperfetto» si definisce da sé) sono un’accoppiata vincente: Proietti vi si ritrova in forma splendida, esprimendo al meglio le sue qualità di trasformista, di macchiettista, di funambolo, di comico dall’ilarità contagiosa. Basti osservare con che essenziali mezzi (voce e gesto) viene da lui individuato, e mantenuto, lo stato di euforia etilica che costituisce la «normalità» di Archimede. Basti guardare l’incredibile camminata di Benedetto, a gambe rigide: esempio di strafottenza locomotoria che lascia trapelare un’intima fragilità, un profondo disagio di vivere. Le trovate burlesche s’infittiscono: Benedetto che muove come una marionetta il «burino» confidatosi a lui, e impegnato in una drammatica disputa con l’ex innamorata; Benedetto cimentato a «braccio di ferro» dalla padrona del caffè, che gli fa gli occhi languidi; Archimede che dal suo dischetto, e dai relativi attrezzi ricava, una specie di sonante batteria. E, sommamente, il duello fra il calzolaio e il barbiere suo vicino, che si affrontano usando come armi di offesa e difesa i rispettivi, malcapitati clienti. Qui la figura di Petrolini è ormai (finalmente, giustamente) cancellata, e semmai sarà tutta un’illustre antologia del riso, una tradizione non soltanto romanesca (s’intravedono toni e maniere di Totò, dello stesso Eduardo) ad affluire, raddensarsi e ricrearsi nell’interpretazione, comunque originale, del protagonista. E i diversi «finali» ipotizzati (da Petrolini) per Benedetto fra le donne sopraggiungono non tanto come un’eco pirandelliana, quanto nell’aspetto rituale delle «passerelle» di un’antica rivista.
Accanto a Proietti sono da annotare i nomi di Paila Pavese, di Raffaele Arzilli, che si divide fra la buca dell’orchestra e la ribalta, di Renato D’Amore e, tra i più giovani, dell’assai spiritoso Giorgio Tirabassi…Caldo il successo a sala gremita. Ma le repliche, immancabilmente affollate, rischiano di esaurirsi, per varie ragioni, col 31 marzo.
Aggeo Savioli 18/03/1983 l’Unità