Teatro - interprete

Cirano

DETTAGLIO

Anno: 1985
Titolo: Cirano
Ruolo: Cyrano De Bergerac
Data di debutto: 04/03/1985
Teatro del debutto: Teatro Sistina
Città del debutto: Roma

CAST ARTISTICO

Gigi Proietti, Roberto Bisacco, Tullio Valli, Virgilio Zernitz, Laura Lattuada, Vanni Corbellini, Mario Scaletta, Riccardo Plati, Raffaele Arzilli, Germana Dominici, Bianca Ara, Antonio Bellavia, Franco Bertini, Elisabetta Bombacci, Giovanbattista Cannavacciuolo, Maria Lucia Carones, Giusi Cataldo, Angela Ceruti, Claudio Carioti, Anna Cianca, Elisabetta DE Vito, Laura Devoti, Eleonora Di Mario, Donatella Galeotti, Massimo Galletta, Fabio Giordano, Maria Cristina Gruttadauria, Giampiero Ingrassia, Antonella Laganà, Valter Lupo, Salvatore Marino, Nubia Martini, Manuela Metri, Massimiliano Pazzaglia, Roberto Raciti, Francesca Reggiani, Claudio Sapdola, Alessandro Spadorcia, Sergio Zecca

CAST TECNICO

Autore: Edmond Rostand

Regia: Gigi Proietti e Ennio Coltorti

Scene: Giovanni Agostinucci

Costumi: Giulia Mafai

Musiche: Fiorenzo Carpi

Coreografie: Raffaella Mattioli

CRITICA
“Un Cirano tra fiaba e melodramma, un Cirano di gusto popolareggiante, un Cirano autoironico: queste le tre componenti dell'allestimento del celebre dramma tardoromantlco di Edmond Rostand, che la Compagnia Gigi Proietti, In collaborazione col Teatro Regionale Toscano e col Teatro di Pisa, ha presentato l'altra sera al Sistina, in prima per la critica, dopo un mese circa di rodaggio in provincia. Fiaba e melodramma hanno, mi sembra, ispirato il lavoro dei collaboratori dei due registi, Gigi Proietti ed Ennio Coltorti, cioè lo scenografo Agostinuccl, la costumista Mafai, il musicista Carpi. Agostlnuccl, più che al verisimile storico, più che all'ambientazione d'epoca, ha badato a ricreare i luoghi topici della favola: l'hotel de Bourgogne i come un notturno quadro nel quadro, il grande lampadario, i palchi illuminati, e due spesse cortine a velario; la pasticceria di Ragueneau all'alba come una lunga, alta vetrata sghemba, tutta bianca di nebbia lattiginosa; la casa di Rossana come quella d'una principessa del Cunto de li cunti, con l'albero ben fronzuto sul davanti e un poco di lume dall'alcova; e qui m'arresto, alla terza delle cinque illustrazioni da Scala d'Oro che fan da fondale alla vicenda. Aggiungo semmai che anche i costumi di Giulia Mafai sono lambiti da una brezza di fiaba, secentesca certo, come se l'azzurro dei cadetti, l'oro di De Guiche, il nerofame dei poetastri fossero usciti dalla penna di una Madame d'Aulnoy o dello stesso Perrault: veri e un tantino falsi o, meglio, falsati da non parer veri. Dal canto suo Fiorenzo Carpi non solo ha tramato la storia delle sue gagliarde canzoncine, ma, ad un tratto, proprio nella sequenza della pasticceria di Ragueneau. ha messo sul pentagramma una vera sequenza d'opera lirica, con Ragueneau e le giovani servanti che cantano in contrappunto: pare un Falstaff da golosoni, è un segno, invece, della rilettura registica, canora, anzi stentorea, perch’è, appunto, popolareggiante. La qual regia s'appoggia, intanto, su. una traduzione-riduzione in prosa di Roberto Lerici o all'uso generoso delle «tirate» in versi nella celeberrima traduzione (1898) di Mario Giobbe; Lerici ha messo insomma in pulito i «recitativi», le arie son quelle, stupende, del napoletano Giobbe. Il contrasto non stride (semmai si può rimproverare Lerlci di qualche taglio perentorio, sulla vocazione poetica di Ragueneau, sulle fatuità di «preziosa» di Rossana, qui falciate): anzi innesta nel racconto un che di felicemente ambiguo tra la rudezza sbrigativa dell'intreccio, che va spedito al suo esito, e le soste manierose delle tirate liriche. E passiamo, infine, all'interpretazione, che abbiam detto autoironlca, del protagonista. Capisco bene che questo possa far andar in bestia i cultori, veri e seri, del Cyrano di Rostand (questo e molto altro, immagino, nella presente messinscena): sta di fatto che Gigi Proietti non nasconde di prendere le distanze dal personaggio. Certo nella scena del verone, quando sfoga il suo amore, al posto di Cristiano, certo nella sequenza finale dell'agonia l'attore fa sul serio, è impetuoso e malinconico, passionale e fragile: ma quelli son due passaggi obbligati, da slalom speciale. Più singolare, più audace, più nuovo è Proietti quando attenua la proverbiale burbanza dello spaccone, la sua sesquipedale generosità; mostrandocela, con un filo di sorriso sulle labbra, a vista. Al suo fianco Laura Lattuada è una Rossana giovane e bella, e di giusta .maniera» ; Vanni Corbellini un Cristiano più giovanilmente vitale che; disarmato, più acerbo che timido; Tullio Valli un premuroso, paterno Le Bret. Virgilio Zernitz un generoso Ragueneau. Ma il miglior dei comprimari m'è parso Roberto Bisacco, che con garbo ci fa diventare simpatico quell'odioso «vilain» di De Guichce. Non so dirvi quanto siano simpatici i giovani della scuola di Proietti che fanno popolani, moschettieri, borghesi, preziose, commedianti, eccetera: son forse una trentina, freschi e scattanti. Alla prima lunghi, affettuosi applausi. 
Guido Davico Bonino 6/3/1985 La Stampa

“…E parliamo, allora, di Gigi Proietti. Che fa un Cirano eccellente dal lato dell’ironia (e dell’autoironia, come nel momento delizioso in cui deve riuscire a sedersi senza avere una sedia), moderatamente spavaldo (a scorno di chi forse s’attendeva un’esibizione di modi da «bullo»), adeguatamente riflessivo, sebbene lo spessore intellettuale e poetico del «vero» Cyrano de Bergerac, che Rostand liberamente filtrava nella sua «commedia eroica», sia, nel complesso, il meno rilevato… Dove Proietti supera se stesso è, forse, nella famosa scena del balcone e del bacio, intrisa d’un ardore negromantico che finisce per sciogliere, senza residui, il grottesco e il beffardo della situazione…”
Aggeo Savioli 6/3/1985 l’Unità

“Il risultato, nello spettacolo, la cui regia è curata dallo stesso Proietti e da Ennio Coltorti, è da tronfia e superficiale produzione televisiva. Messo da parte o banalizzato lo stile, il manierismo letterario, il colore del tempo (cui richiamano soltanto gli sgargianti costumi della Mafai e le belle scene di Agostinucci), l’opera di Rostand diventa una mediocre storia sentimentale, accentrata sul triangolo Cirano-Rossana-Cristiano, che tenta di sfociare senza riuscirci nel musical; senza riuscirci perché un musical tratto dal Cirano dovrebbe prescindere totalmente del testo di Rostand e inventarsi una sua drammaturgia, una sua autentica coreografia e una partitura ben altrimenti strutturale, dove qui non ci sono che alcuni gradevoli coretti e canzoni di Fiorenzo Carpi e, a un certo punto, una stucchevole, e già vista le mille volte, parodia dell’opera lirica. Sicché non ci sentiremmo di registrare, in conclusione, che qualche bell’effetto visivo e un brivido superstite al finale, quando Proietti-Cirano trova una giusta dimensione di malinconia crepuscolare.
L’attore, a nostro parere, è solo a tratti un vero Cirano. Ne ha la guasconeria, l’aspetto stralunato e marziale; gli manca, o non è riuscito ancora a trovarlo, quel misto di buffoneria e di lirismo che ci mettevano i Gino Cervi, gli Annibale Ninchi…”
Roberto De Monticelli 6/3/1985 Corriere della Sera