Teatro - interprete

Come mi piace

Foto di Tommaso Le Pera

DETTAGLIO

Anno: 1982
Titolo: Come mi piace
Data di debutto: 13/11/1982
Città del debutto: Ravenna

CAST ARTISTICO

Luigi Proietti, Franco Chirico, Alessandra Collodel, Gianfranco Jannuzzo, Francesca Loriga, Fabrizia Magaglio, Giorgio Tirabassi

CAST TECNICO

Autore: Luigi Proietti, Roberto Lerici

Regia: Luigi Proietti

Scene: Sergio Tramonti

Costumi: Giulia De Riu

Musiche: Vito Tommaso

Coreografie: Gino Landi

Disegno luci: Franco Ferrari

CRITICA
“Se è vero che non ci si bagna mai due volte nello stesso spettacolo, eccone qua la prova lampante con il Come mi piace di Gigi Proietti e Roberto Lerici, che arriva al Quirino come un «dulcis in fundo» di stagione. Aveva decollato a Ravenna cinque mesi fa, e in quell’occasione cominciammo a parlarne. Poi fece un «blitz» romano sotto la tenda, intorno a Natale. Adesso eccoci davanti all’immagine di uno spettacolo che si è ancora mosso, cambiato e rafforzato. Proietti è attore scrupoloso, perfezionista. Niente è così prospettabile come l’improvvisazione. Per mettere a punto A me gli occhi racconta che gli ci vollero sei mesi. Ma lo spettacolo fin dall’inizio viaggiava sugli esauriti e sugli applausi. E’ lecito pensare che questo camminerà sulla medesima strada. Ma se lo spettacolo non è mai lo stesso, c’è qualcosa che non cambia. E’ lui, Proietti, il suo modo di rimboccarsi le maniche in palcoscenico gridando «verghino signori» e poi di andare avanti come una locomotiva che macina tutto e sui binari imbocca di volata tutti gli scambi possibili. Dice, al principio, in mezzo ai suoi giovani attori, che con loro si proverà a fare un gran ripasso di tutto il teatro, un viaggio nella memoria dell’attore. Non gli credete: è soltanto un pretesto, e il ripasso in realtà è una corsa  al «lasciatemi divertire» c’è tutto, ma proprio tutto, dalla pantomima giapponese che si mette a parlare in casertano alla serenata romanesca al «grugno sfrontò». E la capacità di metamorfosi di Proietti è vertiginosa. C’è un quadro di parodia brechtiana con tanto di cartelli e «songs» dove Proietti canta alla epica con una giacca a lunghe falde. Ed  ecco che in due secondi Proietti si stacca le falde della giacca trasformandola in un farsetto trasteverino, si gira la visiera della coppola, stira la faccia in una smorfia adunca e sorniona, ed è Giggi e r bullo. Canta la serenata a Nina, ed ecco che la stracciatura romanesca scatta nei guizzi di un rock. Altro giro di coppola, una camminata dinoccolata e molleggiante, e Giggi è diventato un apache, canta in un francese strabiliante, s’inventa la sigaretta all’angolo della bocca. Altro giro, altra corsa: e Proietti viene avanti tutto rattrappito e minaccioso nel quadruplo petto di un onorevole siciliano che viene a chiedere, anzi ad estorcere, lezioni di recitazione e dizione per mettersi all’altezza dei suoi colleghi chiamati a recitare e cantare nella «società dello spettacolo». Un altro guizzo, e l’onorevole ne esce in frac, cilindro e sciarpa bianca per cantare petroniano Gastone, però piegato alle esigenze della contingenza politica del momento che Gastone può far rima con massone.
Se vogliamo capire bene le ragioni del «ritorno dell’attore» di cui si va parlando un po’ dappertutto, eccole qua che parlano da sole. E’ l’attore pronto a sporcarsi le mani, a fare di tutto essendo capace di farlo, a smontare e rimontare i suoi ingranaggi in palcoscenico, a batter grancassa come un un baraccone e a diventare serio come in un monologo scespiriano, a mostrare che la comicità robusta, plebea, coi muscoli i polmoni e tutto il resto, può essere pilotata dall’intelligenza; è questo l’attore che fa decollare l’attenzione dello spettatore. Se c’è qualcuno che ha ricevuto delusioni da una stagione effettivamente un po’ avara, non si perda questa serata al Quirino. Troverà, oltre al già descritto «fenomeno Proietti» otto giovani attori (Rossella Camilli, Alessandra Collodel, Francesca Loriga, Antonio Scarafino, Franco Chirico, Pietro De Silva, Fabrizia Magaglio, Giorgio Tirabassi) che non sono da meno della locomotiva. E sentirà un subisso di risate e di applausi di quelli che vengono fuori per germinazione spontanea , non per abitudine al consenso.
Renzo Tian, 29/04/1983 Il Messaggero

“Ma come si fa a resistere a Gigi Proietti? Anche il pubblico impellicciato (si fa per dire, visto il caldo che faceva) del Quirino si è fatto tentare travolgere e, dopo una serie continua di applausi a scena aperta, alla fine è stato un trionfo, numerose chiamate e applausi ritmati fra palcoscenico e platea, col sottofondo della musica sonata in scena dai sei orchestrali.
Lo spunto dello spettacolo è un «ripasso generale» del teatro. Ecco così sulla ribalta i Romei, gli Otelli, le svenevoli tre sorelle, i cadetti di Guascogna e poi via via le maschere goldoniane con gli Arlecchini e le pure, i cori brechtiani, fino ai famigerati sorcini di Zero, interpretati da otto allievi della «bottega» di Proietti…Recitano, cantano e ballano, attenti allievi di un maestro bravissimo e imprevedibile. E soprattutto c’è Gigi Proietti, attore «fuorilegge» come si definisce, ben contento di essere fuori da quell’altro teatro, in particolare i palcoscenici pubblici dove si può fare il gran signore con i soldi nostri (è una polemica che sta molto a cuore all’attore). Grande  istrione e «» per piacere  (e provocazione) Proietti dà spazio a tutto il suo repertorio. Fa il guascone Cyrano, ma va a inciampare in un decrepito suggeritore che non è proprio un maestro di dizione: meglio allora un saggio di teatro giapponese del No, ma alla maniera napoletana. Ci prova con Amleto, in una classica posizione di profilo,  ma alla battuta «dormire» finisce proprio col russare; tira fuori allora gli inesorabili cartelli alla Brecht, ma più che lo straniamento preferisce il rozzo Giggi er bullo.
Si rifugia nel sicuro Petrolini, ma non resiste alla tentazione, e Gastone si trasforma in Massone. Prova a cantare, e dalla canzone romanesca s’infila nel canto hondo spagnolo, da New York New York a ‘O Sole mio. Un accenno di teatro borghese e una capatina in quello di ricerca, rigorosamente al buio (perché se no si trova subito). E poi Shakespeare naturalmente, con Giulio Cesare, meglio se si ha l’artrite perché il gesto è più ieratico: ma anche qui Proietti casca sulle papere, felicissime, irresistibili papere. Bravo, bravissimo, così ci piace.”
P.Cer. 29/4/1983 Corriere della Sera

“Dove davvero imbrocca il tono giusto, il nostro, è nel quadro Che fine ha fatto Brecht?. Qui, il dileggio del brechtismo di maniera si accompagna alla denuncia, sorniona ma puntuale, d’una più che sospetta «scomparsa», e la forza espressiva, diciamo pure la contemporaneità del poeta tedesco riemergono intatte nella limpida dizione dell’estremo messaggio di Macheath: «Che cos’è l’effrazione di una banca di fronte alla fondazione di una banca?». Che ottimo interprete di Brecht sarebbe Proietti (ma lo è già stato, in una non dimenticata edizione di Nella giungla delle città). Su altro piano, altro pezzo forte è quello, quasi conclusivo, della telefonata: sublimazione repellente e geniale dei tic comportamentali del romano medio, identificato in una tipica evenienza quotidiana. Il ripetuto e fitto scrosciare degli applausi diventa, qui, un tripudio. Tra una platea in festa, il cronista trattiene nella penna ulteriori riserve, intimidito anche dall’ideale cartello «Lavori in corso». Di lavorare, e parecchio, hanno ancora bisogno, di certo gli allievi di Proietti; ma quello che gli fa da spalla-suggeritore in un famoso scorcio del Cyrano (Giorgio Tirabassi) merita già attenzione.
Aggeo Savioli 29/12/1982 L’Unità

“…A questo anarchico rimasto miracolosamente giovane di sicuro una cosa piace, una attività bella pienamente gli riesce, il teatro, il palcoscenico come coinvolgimento totale, la scena come fisicità esplosiva, l’arena come luogo di maratona (domenica è stato sul palcoscenico per non so quante ore, compresa la «diretta»televisiva), il recitare come esibizione di un se stesso gratificante. O psicologo potrà dire ciò che sa e che vuole sull’eventuale esercizio compensatorio, sull’effetto stimolante dell’applauso, sul paradiso artificiale in cui l’attore si aggira felice, superiore, dittatore, incontinente, esplosivo. Certo, vien da rimanere senza parola di fronte a questa performance, a questa dimostrazione di vitalità sorvolata, a questa voglia di aggiungere sempre e togliere mai, nemmeno quello che, ad una ragione in doppio petto dovrebbe sembrare sicura cosa da togliere…Dice che vuol fare un ripasso della storia del teatro e poi si stanca subito e deve far lavorare gli allievi della sua scuola in scenette molto rapide, in siparietti da musical, ce gli permettano di apparire come Dio in una semplicissima macchina teatrale. Ripeto, teatrale, perché questo è quel che si sa e che resta, ingente, aggressivo, quasi immodesto, nello spettacolo di Proietti. Resta lui, che sa chi è lui, che sa manovrare lui. E io non mi permetto più di dire quel che non mi va mica tanto bene nella scelta che lui ha fatto, nelle idee che ha avuto,  e che rapidamente ha steso con la collaborazione di Roberto Lerici. Non dico nulla, non voglio far la figura del rompipalle. Dico solo che va bene così, lo dico senza riserve mentali, applaudo pure io, con gli altri, vado nel camerino a dire «bravo».
Tommaso Chiaretti 28/12/1982 La Repubblica