Teatro - interprete
Io, Tòto e gli altri
DETTAGLIO
Anno: 2002Titolo: Io, Tòto e gli altri
Data di debutto: 12/03/2002
Teatro del debutto: Teatro Brancaccio
Città del debutto: Roma
CAST ARTISTICO
Gigi Proietti, Elena Lo Forte, Costanza Noci, Claudio Pallottini, Marco SimeoliCAST TECNICO
Autore: Gigi Proietti
Regia: Gigi Proietti
Costumi: Susanna Proietti
Disegno luci: Alessandro Velletrani
Progetto fonico: Ernesto Mari
Direzione Musicale: Mario Vicari
Assistente alla regia: Claudio Pallottini
Direttore tecnico: Cianfichi
Proiezioni: Danny Rose
CRITICA
“Proietti si ri/mette in scena. Lo fa, come Butterfly, un po' per celia e un po' per non morire (o come Petrolini, un po' per Celio e un po' per Colosseo). Al pari della giovane musmè pucciniana, si guarda intorno e aspetta. Il suo panorama non è quello del porto dove è un giorno approda la nave bianca di Pinkerton: Gigi guarda il teatro di adesso, a quello che va, che potrebbe andare, che è già andato e ritorna. Si volta indietro e riconosce quanto ha già fatto, una galleria di piccoli classici, una folla di personaggi non solo comici, non solo lirici, non solo politici.
Sgrana il rosario dei materiali, analizza gli amori del pubblico, scarta, promuove, recita e replica. Innesta questo archivio vivo, tolto alla storica cassa di A me gli occhi, please, su un impianto di nuovo conio ed ecco il vintage in scena da ieri sera al Politeama Brancaccio. Io, Tòto e gli altri. Uno spettacolo spudorato, autoconcessionario, vecchio e nuovo come i recital di Gassman e Minetti, di Kenneth Branagh e Bruno Ganz. Innervato dal carisma completo di cui Proietti è portatore sano. Divertente, euforico, musicale, iconoclasta, innamorato, satirico, barzellettiere, mordace, doloroso, ineffabile. Lui, l’Attore, a tratti canzonettista, a tratti poeta popolare, gioca sui «tipi» che il pubblico gli chiede a raffica (Tòto in prima istanza, del quale si raccontano, qui, genesi e sviluppi), ma scivola poi subito nei corridoi shakespeariani di Amleto, pieni d'ombra irrisolta, nei labirinti di Pirandello, nel nonsenso petroliniano, nella favola dell'Amore raccontata da tempo immemorabile, storia delle storie al cui valore catartico si ritorna con scalpore, quasi fosse inedito. Siamo alla scorpacciata di generi e stili. E’ l'ennesimo assolo da chiamare contaminatio, a maggior ragione perché farcito (per la prima volta?) anche di melodramma. Siamo al lusso. Recensire Proietti? Sa di comico. Pretenderemmo fargli concorrenza, naufragando nelle solite, inutili considerazioni. La gente va a trovarlo proprio per avere da lui, ancora una volta, più volte, le cose di sempre. Perché ha qualcosa da raccontare e il talento per farlo, rifarlo e farlo nuovamente. Perché il suo vintage nasconde trappole di pericolosa, maieutica novità. Perché a Tòto affianca Orlando; a Pietro Ammicca, Gaetanaccio; a Frank Sinatra, Claudio Mattone. Perché la sua Roma è anche Helsinore, la sua Hollywood un cortile di Trastevere, il suo bingo una bisca di Las Vegas. Gigi pensante nella leggerezza. Dopotutto, il gran teatro del mondo non è oggi bordello telematico che ci spara addosso offerte, lusinghe, tentazioni, senza mai tener conto dei ritmi dell'anima? E non è vero che l'insana voglia di ridere, ridere solo e soltanto, fino a scoppiare, è indizio del disagio di vivere dal quale, prima o poi, ci risolleveremo per recitare poesie? Con il suo show stroboscopico, Proietti, alla fine ci regala proprio queste consapevolezze. Godiamone. Senza sensi di colpa. Assieme al protagonista (che nella prima parte struttura una vera e propria storia d'amore, punteggiata di canzoni e macchiette, riservando ai bis l'intero secondo tempo) lavorano Elena Lo Forte, cantante lirica «in prestito», buona voce, tanto spirito, ottima verve; Costanza Noci, una Nina romanesca di sicuro impatto; l'ironico Marco Simeoli; il multiforme Claudio Pallottini. Proiezioni fantasia della Danny Rose di Parigi.”
Rita Sala 13/03/2002 Il Messaggero
“il sipario si alza su una band che suona in cima a una scala, non lunga come quella della Osiris, ma che subito rimanda al varietà. E così è infatti, con Gigi proietti che scende e dà vita a un succedersi di scenette, macchiette, canzoni, barzellette, parodie e doppi sensi, col pubblico che partecipa e interviene. Mancano solo le donnine, ma a un certo punto l'attore gioca anche con una partner che si denuda il seno alle sue spalle e distrae gli spettatori. Un tutto Proietti insomma, per il ritorno alla grande nel teatro che fu suo (e della sua scuola) negli anni ’70 e che ha ribattezzato oggi Politeama, puntando «sul gusto dell'usato, come un album di vecchie foto da sfogliare per ritrovare la memoria del teatro perduto». È quello ovviamente del ricco repertorio dello stesso attore, che tiene fede al sottotitolo «vintage» della serata, in linea con l'intento dichiarato di un recupero del teatro popolare «in un momento in cui il popolare sembra essere diventato appannaggio della sola televisione». E bisogna riconoscere a Proietti che, tra tanti comici che fanno squallidamente TV in teatro, lui lavora con passione sullo specifico del palcoscenico («Viva il teatro dove tutto è finto, ma nulla è falso, e questo è vero»), con il gusto dell'attore pronto a tutto e capace di tutto, con i suoi pregi e vizi, con infortuni e improvvisazioni sulla linea di quel Teatro all'antica italiano che prende in giro con una gustosa scenetta dell'attore in tunica e spada, che storpia comicamente le battute tragiche che gli ricorda il suggeritore e non sente per il rumoreggiare del pubblico. E, in nome del contatto col pubblico, anche quelle che altrove parrebbero cadute di gusto, qui fanno parte del gioco, alto e basso, comico, parodistico, ammiccante, capace di coinvolgere una platea di veri e propri fans, che riesce a far ridere e applaudire a comando, aggiungendo, se il battimani e stentato:«Sfogatevi, sfogatevi!». E certo è difficile resistere al suo gioco di bravura, solo di questo si tratta infatti alla fine, che passa da «Vecchio frac» di Modugno (più disincantato, meno sentimentale) alla presa in giro di una vecchia traduzione di «Amleto», da Petrolini alla parodia di Pirandello, cantando ora Armstrong e poi Mozart, rievocando la storia d'amore con Mary Cord o quella ormai meno viva di Toto. Dietro di lui la scena vive di giochi di luce, ma poi all'improvviso, grazie un bel sistema di proiezioni, si trasforma in un angolo di Roma, in un salone tutto colonne, in un profondo cielo stellato con grande luna piena.
«Sono brava, brava, brava», cantava Mina giocando su tutte le sue abilità vocali. A Proietti basta mostrare e comunicare la soddisfazione, la disinvoltura, il gusto della sfida sempre vivo che porta in scena ogni sera.”
Paolo Petroni, 14/03/2002 Il Corriere della Sera
“Un Gigi Proietti commediante, istrione, custode della memoria, diseur, chanteur, comico, entertainer, verseggiatore, artista lirico e showman fa un prodigo inventario di se stesso, e nel corso delle quasi tre ore (le sfoltirà, dice) di Io, Toto e gli Altri al Politeama Brancaccio recupera pagine quasi dimenticate, scava nel suo lavoro, adotta qualche inedito, sfoggia la sua bulimica frenesia verbale e concede una mole titanica di bis. Stavolta per la verità il gioco si fa serio, nel senso che, sì, questo libro bianco autobiografico ha una vocazione popolare, con un che di immancabilmente dissipatorio, ma Proietti vi gestisce un impegno che va al di là dei canoni di un recital: lo spazio in cui si muove con proiezioni a effetto sembra pensato per un musical di rango, gli attraversamenti di generi hanno spesso un pedigree culturale, la temerarietà con cui padroneggia lo spettacolo rivela un' irrequieta e matura malinconia che è tipica di anarchici signori della ribalta, e qui viene fuori il lusso degli idealismi, del pathos, della voce alla Sinatra o alla Armstrong ma anche il pregio naturale dell' attore narratore. All' insegna del recupero, del vintage, Proietti apre con un' equazioneomaggio tra Modugno e Petrolini, e già l' intrinseca affinità tra Uomo in frac e Gastone preannuncia un lavoro di accostamenti fra linguaggi canori e sensi riposti del teatro, un lavoro di oscillazioni su cui fonda tutta la serata. Ha qualche radice nella commedia dell' arte, quel suo rispolverare la sagoma dell' attore smemorato che deforma le battute di un suggeritore con buca futurista in testa. Allude alla dignità delle tragedie da ridere, e alla letteratura dei commedioni, il revival di pezzi del Gaetanaccio di Magni, dove tra l' altro un menù mozzafiato si riconferma litania profana. E c' è parentela con alcuni Shakespeare di rispettabili compagnie di tradizione, nel passaggio (illustrato) dal cammeo di Bruto e Cassio del Giulio Cesare alla letargia caricaturale di due antichi romani nel doposauna, scenario da cui emerge il richiestissimo Toto. A parte la novità di un remake narrativo sul filo di un amore di gioventù con tale Mary Cord, su canzoniguida di Mattone, con ripescaggio anche perfido e controverso ("Io ti amo" di Benni) del tema dei sentimenti, è nelle corde più farfuglianti e delicate del favolista che noi lo preferiamo, quando Gigi instaura verso il finale una comunicativa calma e ricca di sapienza. Ma anche l' altro versante, quello sonorizzato, produce emozioni: esegue brani americani con un' autorità professionale da brividi, o rompe gli schemi con uno "scat" o con duelli operistici con la cantante Elena Lo Forte. Fatali, in questa miscellanea, i compiacimenti a base di battute, barzellette, dolorismi pirandelliani e scampoli noti. Il carrozzone snellibile ma serio di un Gigi che dà indubbiamente molto comprende, va detto, gli apporti di Costanza Noci, Claudio Pallottini e Marco Simeoli, con l' indispensabile orchestra guidata da Mario Vicari e infoltita dal recitante Lello Arzilli. Una foto di gruppo con amici, e un trionfo di pubblico.”
Rodolfo Di Giammarco 15/03/2002 La Republica