Teatro - interprete

La cena delle beffe

foto Tommaso Le Pera
foto Tommaso Le Pera
foto Tommaso Le Pera

DETTAGLIO

Anno: 1974
Titolo: La cena delle beffe
Ruolo: Neri Chiaramentesi
Data di debutto: 11/01/1974
Teatro del debutto: Teatro La Pergola
Città del debutto: Firenze

CAST ARTISTICO

Carmelo Bene, Luigi Proietti, Lydia Mancinelli, Roberto Caporali, Massimo Fedele, Alessandro Haber, Alexandro B. DAkar, Roberto Lattanzio, Carlo Colombo, Nello Angeli, Roberto Augenti, Lanardo Bisceglie, Enrico Lanzi, Guerino Locatelli, Domenico Napoleoni, Serafino Angelucci, Carlo Monni, Felice Patacchioli, Sergio Salvi, Simona Ramieri, Isabella Russo, Carla Cassola, Stefania Nelli, Jole Rosa

CAST TECNICO

Autore: Sem Benelli

Regia: Carmelo Bene

Musiche: Vittorio Gelmetti

Scene e Costumi: Carmelo Bene

CURIOSITÀ

Lerici mi aveva presentato Carmelo in non ricordo quale occasione, ma cominciammo a frequentarci solo in seguito, intorno al 1973, quando scrisse un testo per me perché lo portassi in scena allo Stabile de L’Aquila. Si intitolava La banda salentina. A dire il vero, il titolo era molto più lungo, talmente lungo che era impossibile ricordarlo tutto, quindi iniziammo a chiamarlo così. Ero onorato che Carmelo avesse scelto proprio me come partner per dar corpo alla sua creazione, ma allo stesso tempo temevo che l’esperienza di Alleluja, brava gente mi avesse fatto perdere credibilità presso il pubblico più colto. Che fesso che ero, ogni tanto mi sentivo ancora schiavo di quelle distinzioni che, soprattutto davanti a personalità come Carmelo, perdevano ogni significato. Lui, inoltre, aveva per Rascel un’ammirazione profonda e incondizionata, quindi il fatto che avessi lavorato al suo fianco per tutto quel tempo era solo una cosa di cui andare orgogliosi. Ci pensai a lungo e alla fine accettai. In fin dei conti era una bella sfida, un’occasione per ripropormi come attore d’avanguardia dopo il successo commerciale al Sistina. La banda salentina, però, non andò in porto: Carmelo pretendeva di avere sul palco una banda di sessanta elementi e il modesto teatro de L’Aquila non poteva permetterselo. Modesto economicamente, si intende. Restava la voglia di imbarcarsi in qualche progetto, quindi continuammo a pensare come fare per realizzare questo desiderio. Una sera – ero in un ristorante vicino via Veneto – mi venne incontro e mi disse: «Ho avuto un’idea, uno spettacolo con due protagonisti: io e te faremo La cena delle beffe di Sem Benelli!». L’opera era un dramma ambientato nella Firenze rinascimentale, un testo in quattro atti che narrava della faida che contrapponeva i fratelli Neri e Gabriello Chiaramantesi a Giannetto Malaspini, per la conquista – tra le altre cose – della bella Ginevra. Io avrei interpretato il Neri (ricordate la sua famosa frase: «Chi non beve con me, peste lo colga»?), Carmelo Giannetto e Lydia Mancinelli – che per Carmelo era una presenza magnetica e irrinunciabile – Ginevra. La prima si sarebbe tenuta nel gennaio del 1974 a Firenze, al Teatro La Pergola, quindi cominciammo subito le sessioni di prova. Vedere Carmelo Bene all’opera come regista era un’esperienza indescrivibile. Apparentemente non aveva un metodo preciso, non c’era una regola se non quella dettata di volta in volta dai movimenti e dai gesti che ci faceva sintetizzare, limare, fino alla completa eliminazione: le prove consistevano quasi in una sorta di cancellazione continua, di autocannibalismo. Diceva che lui non si esibiva, il pubblico doveva essereguardone, voyeur, spiare quello che succedeva in scena. Superata la prova di Firenze, gli feci una domanda provocatoria: «Perché non proponiamo La cena delle beffe al Sistina?». Mi aspettavo che si sarebbe incazzato, il Sistina era il tempio del teatro commerciale. Lui invece, spiazzante e imprevedibile come sempre, rispose giubilante: «Ma ci ospiterebbero? Davvero?». Era felice come un bambino. Prima di approdare a Roma, debuttammo al Teatro Stabile de L’Aquila, che aveva prodotto lo spettacolo. Carmelo era terrorizzato dal viaggio. Si ricordava dell’Abruzzo come di un posto freddissimo e iniziò a prepararsi come se avesse dovuto fare una scalata alpina. Andò da un sarto e si fece confezionare una pelliccia di un animale dal pelo particolare, molto lungo. Andò a ritirare l’involto e quando arrivò a casa si accorse che la taglia era minuscola, il sarto s’era sbagliato e oramai era troppo tardi per rimediare. Dovevamo partire e lui continuava a provarsi la pelliccia. «Gigi, come ti sembra mi stia?» «Benissimo.» Le maniche gli arrivavano sì e no al gomito.Alla fine Lydia, che all’epoca era la sua compagna, partì per L’Aquila con una pelliccia nuova. Lì la sera cenavamo tutti insieme sul tetto dell’albergo, e bevevamo, chiacchieravamo. Carmelo era molto simpatico, solo che ogni tanto esagerava e finiva per parlare per ore e ore di Schopenhauer, di Stirner, di Majakovskij. Alla lunga mi stancava e di tanto in tanto finivo in un angolo a suonare qualcosa con altri amici. Quando mi intervistarono per un settimanale, mi lasciai sfuggire che i discorsi di Carmelo, ogni tanto, annoiavano un po’. Letta quella frase ci restò malissimo e fece l’offeso per qualche giorno. Ma di me aveva stima e quindi sfuggivo sempre alle sue sfuriate. Di solito, ti cazziava per molto meno. Anche la composizione del manifesto, che era sempre una questione molto delicata, non fu un problema. Sulle dimensioni e, soprattutto, sull’ordine dei nomi in cartellone si consumavano vere e proprie tragedie che rovinavano per sempre amicizie e alimentavano rancori.«Metto prima il mio nome» mi disse Carmelo, «non il tuo.» «E che me ne frega? Tanto o “bene – proietti” o “proietti – bene”, sempre bene mi va. Gli altri, tu compreso, così così.»

Gigi Proietti, "Tutto Sommato qualcosa mi ricordo" Rizzoli 2013


CRITICA

 “Luigi Proietti è fuor di dubbio il grande mattatore di questa Cena delle beffe, «spettacolo in due tempi secondo Carmelo Bene» prodotto dallo Stabile dell'Aquila e andato in scena in «prima» nazionale alla Pergola: una anteprima, tre repliche e la scontata «carica» di Carmelo Bene contro la critica. Non Intendiamo addentrarci in questa sede in una analisi dello spettacolo, ma soffermare la nostra attenzione su uno dei due protagonisti del lavoro benelliano, su Luigi Proietti, appunto, un Neri Chiaramantesi riletto criticamente in tutte le sue significanze e quindi rivisto da cima a fondo nella cifra interpretativa.

Ha affermato Carmelo Bene: «Io La cena la leggo come la storia di una

vicenda sportiva»: gara sportiva e vitalismo. Ebbene, Luigi Proietti ha dato una precisa identità ed un senso a questo vitalismo nevrotizzante

di cui sono segnati in maggior o minor misura tutti coloro che oggi fanno dello sport una professione ed un mezzo per la scalata al successo”.

Carlo Degl’Innocenti 17/01/1974 L’Unità

“Luigi Proietti è Neri e ci si diverte visibilmente: la sua presenza e destrezza sono fuori discussione, ma qui abbastanza sprecate.”

Aggelo Savioli 24/01/1974 l’Unità


“Privilegiata da un bianco visone, guida la schiera Lidia Mancinelli che fa la finta scema nella parte di Ginevra, sotto gli occhi di Luigi Proietti che è un Neri meno attento alle donne che a esibirsi nei cento metri, nel lancio del disco, nel gioco del pallone, e in altri exploit sportivi. Aitante e vigoroso com’è, Proietti si prodiga in mille modi, tuona, sghignazza, inveisce, schernisce che è uno spasso.”

Alberto Blandi 18/1/1974 La Stampa