Teatro - interprete

Liolà

DETTAGLIO

Anno: 1988
Titolo: Liolà
Ruolo: Liolà
Data di debutto: 13/08/1988
Teatro del debutto: Teatro Antico
Città del debutto: Taormina

CAST ARTISTICO

Gigi Proietti, Enzo Tarascio, Anita Laurenzi, Sandra Collodel, Elisabetta De Vito, Paola Giannetti, Isa Bellini, Vanna Polverosi, Silvana Puglisi, Giorgia BAsile, Mariella Del Prete, Marco Ceci, Davide Maffucci, Daniele Maffucci, Maria Baldassarre, Nunzia Bellini, Stefania Calandra, Nadia Rinaldi, Ivana Tozzi, Maria Vittoria Tracquilio

CAST TECNICO

Autore: Luigi Pirandello

Regia: Gigi Proietti

Scene e Costumi: Uberto Bertacca

Musiche: Pippo Caruso

Coreografie: Christine Dunham

Collaborazione ed assistenza musicale: Mario Vicari

CURIOSITÀ

“Taormina, sera di Ferragosto del 1988. Mi viene incontro Ninni Panzera, segretario generale di Taormina Arte, con sguardo corruscato e voce grave: «Proietti ti vuole conoscere», mi dice, pronto ad accompagnarmi a un incontro che si preannunciava poco piacevole. L'attore romano era protagonista al Teatro Antico di un applauditissimo “Liolà”, uno spettacolo da tutto esaurito e con lunghe ovazioni finali, di cui era interprete e regista. Io ho sempre scritto con franchezza e sicuramente la recensione a quel Pirandello per me tradito rimane una delle più “cattive” della mia carriera giornalistica. Rileggendola adesso, devo dire che era ampiamente motivata, come sarebbe doveroso sempre e come lo era maggiormente davanti a un evidente grande successo e a un attore di cui io stesso ero e sono un profondo estimatore. Tra l'altro avevo scritto (e, dato che ricordo bene quello spettacolo, mi do ragione): «Una messinscena che, facendosi contaminare dai moduli della commedia musicale e da quelli del varietà televisivo, ha allargato la piattaforma di gradimento al massimo possibile ma ha finito col perdere di vista l'autentica vena del testo, giocato sempre sul doppio binario della commedia e del dramma». E ancora, sulla sua prova di attore: «Bravo, bravissimo, anche troppo si potrebbe dire. Cede alla tentazione di legare in prima persona col pubblico, di comportarsi come se fosse protagonista di un recital, uno di quelli in cui è maestro, anziché essere alle prese con un personaggio autentico che ha bisogno di essere recitato e assecondato». E molto altro.

Quando raggiungiamo Proietti (eravamo a un piccolo ricevimento finale dopo l'ultima replica), mi trovo davanti un altro sguardo corruscato (saranno i riflessi del sole di Ferragosto, avrò pensato), ma anche un sguardo aperto e sincero. Mi dice poche parole: «Sì, ho chiesto di conoscerla dopo aver letto la sua recensione». Sono pronto alla battaglia. Mi guarda con gli occhi brillanti, reggo lo sguardo e mi sento sul palcoscenico di “A me gli occhi, please!”, il recital che aveva proposto per la prima volta nel 1976. Lui è serio e financo molto compito, quasi la versione elegante di Mandrake: «Ci tenevo a ringraziarla - mi fa - perché mi ha dato molti motivi per ripensare il mio spettacolo» e (finalmente!) si scioglie nel suo caratteristico sorriso.

Questo era Proietti: un grande assoluto, cui il successo non aveva fatto smarrire l'intelligenza dell'autocritica e la capacità di nuove invenzioni e quindi di prove diverse dal solito. Non credo che sia solo un caso che l'anno dopo si sia riproposto a Taormina con il monologo “Kean”, dedicato al grande attore del primo Ottocento inglese, tutto genio e sregolatezza secondo i canoni classici del Romanticismo. Alle prese con un personaggio complesso e decisamente drammatico, lontano dal suo abituale registro comico, Proietti seppe toccare altre corde recitative rispetto alle sue più conosciute e fu protagonista di una prova di altissimo livello, comprensiva anche di un enorme sforzo fisico e senza dimenticare il personaggio che interpretava.”

Vincenzo Bonaventura , 3/11/2020, La Gazzetta del Sud online

CRITICA
“…Proietti ha forzato un po’ una presunta vocazione di Pirandello al verismo e, insieme, al musical. Insieme a Uberto Bertacca, scenografo e costumista, ha ideato una scena assai bella e suggestiva e insieme tendenziosa, il prelievo iperrealisti di un pezzo di campagna agrigentina, con le case costruite con i massi di tufo, isolato e circondato da un fondale nero e lucido e da riflettori a vista. L’idea che suggerisce è quella di una campionatura di laboratorio, come nelle voglie del naturalismo, ma poi su questo reperto Proietti si è concesso qualche esperimento, insieme al musicista Pippo Caruso, nel tentativo di ottenere una sorta di musical nazional-popolare e lontano da Broadway era interpretato il lirismo di Pirandello come «lirica», come traccia di un libretto sospeso tra il melodramma e la commedia musicale, mossa dalle coreografie di Christine Dunham. Come attore Proietti è ormai più maschera che interprete e la vitalità panica e il gallismo siculo del suo «Liolà» - pur nella perfetta dizione e sonorità del siciliano delle canzoni e di qualche battuta in dialetto - svela alcuni tratti di «Rugantino», del bullo romanesco da Festa de’ Noantri…”
Pietro Favari 15/8/1988 Corriere della Sera

“Il concetto di «commedia campestre» viene comunque inteso e sviluppato, da Proietti regista, molto in superficie.
E siamo insomma lontanucci dalle risonanze antropologico culturali che in Liolà avvertiva già per tempo, Antonio Gramsci. Tra momenti di
uno spicciolo realismo, stravaganze come quelle accennate
sopra, precane dilatazioni nel senso del musical (qualcosa di analogo aveva tentato vent’anni fa Domenico Modugno, per la regia di
Giorgio Prosperi), la rappresentazione non arriva ad assumere una fisionomia articolata sì ma unitaria e salda…
E veniamo a Gigi Proietti, in quanto attore principale. Non ci aspettavamo da lui un qualche affondo negli oscuri
recessi del vitalismo di Liolà (rintracciabili nel gran romanzo
Il fu Mattia Pascal, ma anche nel terribile racconto La mosca) Ma, forse,
avremmo apprezzato uno slancio maggiore, un’incisività più netta nel tratteggio di ciò che vi è di sociale, oltre che di naturale, nell’agire dell’eroe (la sua rivalsa di proletario - alla lettera - contro il mondo della proprietà, il suo «essere» contrapposto all’ «avere» di Zio Simone).
Giostrando con abilità fra il testo in lingua e qualche sparso brano di quello dialettale, originario (nella «parlata di Girgenti») e più intensamente espressivo, sebbene qui addolcito
per motivi di comprensibilità (che si posero già con Angelo Musco, nel lontano 1916/17), Proletti riesce del resto a stabilire, senza rinunciare
a parecchi del suoi vezzi, un cordiale contatto col pubblico, che, alla «prima» taorminese, gli ha tributato i più caldi consensi…”
Aggeo Savioli 15/8/1988 L’Unità

“…Un’anima nera e cinica pervade dunque questa commedia che Pirandello scrisse in dialetto agrigentino nel ’16 e riscrisse in lingua l’anno successivo. Un’anima nera che fa da contrappunto all’erotismo ora candido ora crudele di Liolà, alla beffa sessuale che deriva dalla commedia latina e dalla Mandragola di Machiavelli. Ma anima nera, erotismo, beffa sono diluiti da Proietti regista in uno stile e in un tono che tendono alla creazione di un bozzetto rusticano nei modi edulcorati del musical all’italiana. In questo gli complice Pippo Caruso, le cui musiche (registrate) non vanno mai oltre una garbata contabilità.
Il Proietti attore, poi, sembra preoccupato di rappresentare sopratutto se stesso. Infatti la sua performance è una replica (questa volta davvero maniacale e meticolosa) dei vezzi su cui ha costruito il suo vasto successo. La sua ribalderia d’amante incantatore e beffardo viene ricondotta a schemi di generica simpatia, di diretta affidabilità, quasi che l’attore tema di tradire la propria immagine e il proprio personaggio. Proietti canta, a tratti gigioneggia, gioca a fare il bullo agreste, ma non tenta mai di scendere tra le pieghe meno solari del personaggio, non sonda la qualità più autentica del suo vitalismo…”
Osvaldo Guerrieri 17/8/1988 La Stampa