Teatro - interprete

Sconcerto

DETTAGLIO

Anno: 1987
Titolo: Sconcerto

CAST ARTISTICO

Gigi Proietti, Giorgio Tirabassi, Sandra Collodel
CRITICA
 “Quando è apparso dalle quinte, in camicia bianca, pantaloni neri e una cosa del frak che gli scendeva dalla cintola in giù, Proietti con la mano davanti alla fronte ha detto rivolgendosi al pubblico:«Ammazza quanto siete lontani». Poi c’è stato subito un altro problema, l’acustica. «Voce, voce, non si sente niente», urlava la gente. E lui pronto:«che ve frega, tanto mo’ cantamo». In effetti il suo «Sconcerto» estivo è quasi un concerto. Proietti fa il verso a Sinatra quando accenna a «Lady is a Tamp» e «New York, New York», a Bernstein con un frammento di «West Side Story», poi di seguito si mette a imitare i cantautori brasiliani per arrivare, tutto d’un fiato, a «Quel mazzolin di fiori» e »’O sole mio». Al fianco di Proietti ci sono i sette giovani esecutori del gruppo «Sconcerto Ensemble» e due ex attori del suo Laboratorio, Giorgio Tirabassi e Sandra Collodel. Dopo un «crescendo rossiniano», vibrante al punto da far alzare la cosa del frak come ai clown del circo, Proietti ha cominciato a spiegare alla sua maniera com’è nato il suo spettacolo estivo: «in Italia stiamo assistendo a un dilagare di musica rock: ci sono di Dureran Dureran, gli Spandau, un gruppo sardo. Ed ora c’è Madonna, alla sua prima tournée dopo Lourdes. Una volta quando appariva non faceva sapé niente». E giù le prime risate del pubblico. «Ecco - ha proseguito Gigi - anche noi abbiamo voluto fare il nostro concerto». Quel caro bugiardo di Proiettiè capace di tutto: anche di dire la verità. Ma non è questo il caso. La verità è che Sconcerto, più che essere un concerto, è un «riassunto» degli spettacoli di Gigi Proietti, a cominciare da A me gli occhi, please.
Così, riesco per esempio la «gag» su Brecht:«MA che fine ha fatto Brecchete?» Si domanda Proietti a voce alta. «’Na volta se non lo facevi eri n’imbecille. Io so’ ambiguo, dialettico, complicato nell’intimo. So so’ n’attore d’estrazione popolare. E alla fine m’estragno, esco dar personaggio, lo comincio a critica’ e poi ce rientro. E’ tutto un entra e un uscì. Certe correnti d’aria!”. All’America è riservata una lunga parentesi. Prima Proietti si esibisce in un concertino di country music, che finisce in un mare di sbadigli (ma non per il pubblico), poi l’attore prende di mira i colleghi che hanno preso una «sbandata» sentimentale per i nuovi autori americani, Mamet, Shepard, sono quelli che presentano «un teatro  problematico che affronta i problemi, tanto noi non ce l’avemo». Quelli che raccontano storie di «padri alcolisti, figli “bucati” e gente che se butta dalla finestra. Però so’ testi belli, se soffre molto. E l’attore italiano è portato alla sofferenza, dice che più se soffre più se fa curtura». Ecco una possibile scena di una commedia americana dei nostri giorni. Ascoltiamola con le parole di Proietti: «Ehi pà, ehi ma, non c’è nessuno in questa fottutissima casa? Mi piace questo fottuto caffè. MA questa fottutissima macchina per il caffè mi sembra rotta. Uno schifo questo dannato caffè». Gigi vuole fa l’americano e siccome conosce benissimo tutti i segreti dell’applauso a scena aperta, i misteri dell’acuto che trascina il pubblico, gli basta dire «Yes» e »Yea» per avere un uragano di applausi e fermare la minaccia della pioggia. Le nubi minacciose se ne vanno e il pubblico tira un sospiro di sollievo, anche se Proietti resta un punto nero laggiù in fondo. Ma basta la parola. E Tirabassi diventa un’ottima spalla per una scenetta shakespeariana. Anche questa si è già vista, si ispira al Giulio Cesare. Proietti è Cassio, Tirabassi è Bruto.
Dall’antica Roma alla Roma di oggi: Gigi diventa «Gigi er bullo»; un tipo pericoloso, perché «chi vo’ parla con me cacci er cortello. Divento ‘na pecorella solo quando incontro la mia ragazza. Nunziatella detta Nina, la sua casa è in vicolo der Cinque». Gigi ha il mondo e il pubblico ai suoi piedi. Ora passa in rassegna la Spagna: prova a mettersi sulle punte ma deve presto riconoscere che «non se puede balar el flamenco con le Clark». Nel finale c’è anche il pescatore di perle giapponese-napoletano e una poesia di Eduardo. Il pubblico ringrazia con un urlo da stadio. D’altra parte, dove eravamo?
Valerio Cappelli 4/9/1987 Corriere della Sera