Teatro - interprete

Socrate

© Luigi Ciminaghi/Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
© Luigi Ciminaghi/Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
© Luigi Ciminaghi/Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa

DETTAGLIO

Anno: 2000
Titolo: Socrate
Ruolo: Socrate
Data di debutto: 09/05/2000
Teatro del debutto: Piccolo Teatro
Città del debutto: Milano

CAST ARTISTICO

Gigi Proietti, Massimo Bagliani, Martina Carpi, Mario Dei, Umberto Ceriani, Massimiliano Giovanetti, Gianfranco Mauri, Francesca Caratozzolo, Sergio Leone, Stefano Guizzi, Leonardo Del Colle, Michele Bottini, Luca Criscuoli, Michele Nani, Francesco Boselli, Francesco Italiano, Davide Ortelli, Vladimiro Russo, Fulvio Tagliente, Francesco Vitale, Benedetto Bianchi, Maurizio Ciccolella, Pasquale Di Filippo, Stefano Moretti, Nicola Orofino, Alberto Balzarini, Ivo Bucciarelli, Vincenzo Di Cugno, Francesco Rosati, Gaetano Stoduto, Giuseppe Giusto, Claudio Leoni, Simone Toni

CAST TECNICO

Autore: Vincenzo Cerami

Regia: Gigi Proietti

Scene e Costumi: Quirino Conti

Musiche: Nicola Piovani

Disegno luci: Gerardo Modica

Movimenti mimici: Marise Flach

Regista assistente: Loredana Scaramella

CRITICA
“Indipendentemente dalla loro diversa destinazione I dialoghi di Platone sono diventati materia teatrale, per quanto l' autore stesso criticasse questa forma d' arte: e a riprova della loro anomalia, nell' ultimo secolo hanno costituito prima una palestra di retorica per grandi interpreti e più tardi, per uno studioso come Anatolij Vasil' ev, la base di un metodo recitativo giocato sull' improvvisazione dei dettagli all' interno della gabbia dialettica. Della singolarità di una sfida del genere, oltre che dall' interesse di Gigi Proietti per il personaggio di Socrate, che dei Dialoghi è il perno, nasceva la proposta di un nuovo allestimento formulata da Ronconi prima per il Teatro di Roma, quindi per il Piccolo Teatro, modificata in quest' ultimo ambito nella riscrittura di un nuovo testo, in parte riadattato da Platone e plasmato da Vincenzo Cerami su misura per un protagonista amico. Questo rappresenta di per sé un fatto importante e atteso, perché Proietti è uno dei pochi grandi attori del nostro teatro, che da anni si ostina però a rinchiudersi in una sua buffonesca maschera limitando le proprie possibilità, in particolare quelle drammatiche che lo hanno rivelato agli inizi professionali. Meno importa se il Socrate che ne è nato appartenga alla "nuova drammaturgia" dove il Piccolo inclina a situarlo per mere coincidenze di calendario, o non risponda piuttosto a una tendenza all' attualità documentaria che spinge a sceneggiare materiali preesistenti per rimettere in discussione figure-chiave della storia del pensiero o delle religioni: Socrate come San Francesco d' Assisi o lo stesso Gesù Cristo in atteggiamenti più o meno musicali... Cerami affronta l' immagine di una delle più grandi vittime della storia, anacronisticamente colpita proprio da una delle più alte civiltà umane, e ne rivive il calvario con spirito di attualità sottolineando la crisi di Atene davanti al problema di una giustizia amministrata a colpi di vendette demagogiche mentre la corruzione batte alle porte: non viene ignorata l' indifferenza di questa vantata democrazia davanti alla solitudine provocatoria di un' intelligenza che antepone con ostentazione la ricerca della verità alla propria vita e anche per porsi a modello dei posteri sacrifica se stesso con un coraggio disumano espresso con sofisticazione dialettica da Platone e con un sottofondo di ambiguità dall' interprete. Per difendersi dalla trappola o dalle trappole del patetismo che fanno per altro capolino particolarmente nella ricostruzione dell' ambito familiare, l' autore si appoggia alla razionalità del personaggio quale ci viene consegnato da Platone nel racconto di una morte pilotata e precisamente argomentata, scompigliando l' ordine dei fatti per cui la fine del filosofo, ripresa dal Critone e dal Fedone, precede il resoconto del processo risultante dall' Apologia, interrotto da un brano comico estrapolato dalle Nuvole aristofanesche, dove il maestro di vita incalzato dal "campagnano" Strepsiade offre di sé un sarcastico ritratto da imbroglione, a testimonianza del linciaggio quotidiano dei giusti e dei diversi a cui veniva sottoposto: e qui si fanno evidenti i richiami all' attualità, dal martirio subito in vita da Pasolini al processo per plagio di Braibanti. Ci pensa allora il Proietti regista ad alternare le discordanti atmosfere dell' azione, mentre a raffreddare la commozione e a ritmare l' intermezzo cantato intervengono le musiche di Nicola Piovani eseguite da un puntuale quintetto d' archi, disposto nel secondo tempo in bell' evidenza nella scena di Quirino Conti. Questa, distendendosi su spazi monumentali non mira a documentare un' epoca, quanto a recuperare il respiro di una scuola d' arte dove la ricerca figurativa accompagni quella filologica e maieutica: una chiara altissima caverna disseminata di citazioni classiche tra metope, colonne e gruppi scultorei secondo la maniera alla quale si ispirano i costumi anche troppo sontuosi disegnati dallo stilista. Il Proietti attore ci mette un po' a scaldarsi, anche perché la parte di Socrate deve continuare a crescergli dentro davanti al pubblico che qui, come in certi dibattiti televisivi, ha anche un compito di parte in causa, fungendo da doppione dei carnefici in scena: ma Gigi è già a un alto livello nella sua doppia morte, quella fisica coperta dalla dialettica nel primo tempo e quella implicita nel suo discorso sulla morale e sulla conoscenza nel secondo, che culmina in un momento raggelante dopo che il protagonista si è riso addosso nello sketch autocritico con omaggio a Petrolini. Lì era Massimo Bagliani a fargli da spalla, come prima, nel carcere, Gianfranco Mauri, bravo e persuasivo come sempre, accanto a Umberto Ceriani. Un po' troppo gettata verso l' urlo melodrammatico la Santippe di Martina Carpi e verso la caricatura i giudici persecutori di Sergio Leone e Leonardo de Colle. I giovani allievi e interlocutori dei Dialoghi sono Mario Cei, Stefano Guizzi, Michele Bottini, Luca Criscuoli. Con il prevedibile successo.”
Franco Quadri, 10/05/2000 La Repubblica

“Alla fine Socrate resta solo: muove la bocca senza emettere suono, mentre si spengono attorno a lui le luci, le voci del processo. Volontà che crede nel potere assoluto della verità, della giustizia e della moralità, Socrate scende nel gorgo muto della morte. Se dovessimo privilegiare un’immagine carica di senso del Socrate in scena al Teatro Strehler, che Vincenzo Cerami ha cucito addosso ai grandi mezzi espressivi di Luigi Proietti (assai applaudito da un pubblico che è tutto per lui), che ritorna al teatro dopo tanta tv sulla scena del Piccolo, è proprio questa perché in essa si racchiude sia concettualmente che visivamente l’estrema parabola di un genio e della sua diversità, vittima di uno dei primi delitti di Stato della storia, compiuto nella civilissima Atene del 399 a.C.. Ma se si ripensa allo spettacolo si fatica a trasmettere un ritratto a tutto tondo del personaggio malgrado la forte presenza di Proietti. Questo Socrate, insomma, è, a grandi pennellate, un esempio anche coraggioso di teatro «politico», un bassorilievo nobile e umano che nasce dai celeberrimi dialoghi, che lo hanno a protagonista, scritti da Platone - Critone, Fedone, Apologia -, mescolati alle Nuvole di Aristofane; ma è il mistero del personaggio che è come velato, malgrado una sua indubbia forza provocatoria che ci coinvolge come testimoni . Le monumentali scene di Quirino Conti mostrano via via una stanza dalle alte volte, un museo dell’anima e della storia, popolato di reperti, che si trasforma a vista nell’ultima prigione, nella sala del parlamento ateniese, nella strada fuori dal carcere, in un palcoscenico sgangherato da commedia dove Socrate, che già è morto alla fine della prima parte bevendo la cicuta, rivive se stesso come doveva apparire ai suoi contemporanei. Un andare e venire a zig zag che è la vera spina dorsale di un testo costruito per un’occasione «speciale», dove Proietti si muove con misura estrema, ma senza lasciarselo certo sfuggire. Accompagnato dalle musiche di Nicola Piovani che, eseguite dal vivo da un quintetto, scandiscono lo spettacolo come un oratorio laico, spiazza infatti gli spettatori nella prima parte più interiorizzata e se li conquista nella seconda, più mossa, soprattutto nella rielaborazione delle Nuvole dove gli fa da spalla, come debosciato Strepsiade, anche in un’accattivante canzonetta, il bravo Massimo Bagliani. Esempio di un teatro d’attore che trova nel carisma dell’interprete la sua giustificazione, Socrate è firmato da Proietti anche come regista con la costruzione di quadri viventi che si animano quando i personaggi escono dal coro, nei momenti più drammatici che compongono e scompongono gruppi, situazioni, inquietudini, sentimenti. Accanto alla prova di Proietti vanno anche ricordati il sempre bravo Gianfranco Mauri nel ruolo del carceriere, Martina Carpi che fa una tragica Santippe, abbigliata alla slava, Mario Cei che è un sensibile Critone. E Francesca Caratozzolo, Sergio Leone, Stefano Guizzi, Leonardo De Colle, Michele Bottini. Un successo annunciato.”
Maria Grazia Gregori 11/05/2000 L’Unità

“C'è qualcosa di nuovo, anzi d'antico nel "Socrate" di Cerami, Piovani e Proietti, interprete-regista, che in una sontuosa cornice scenografica di Quirino conti ha chiuso con vivo successo (otto minuti di applausi e «bravo!» da stadio) la «prima» al teatro Strehler. Di «antico» (lo scrivo senza intenzioni riduttive) cioè il trionfo del teatro d'attore, in una «pièce philosophique» scritta su commissione per l'ingresso nel teatro pubblico, fin troppo ritardato, di uno dei nostri più grandi interpreti.che, per l'occasione, è tornata allo stile classico degli esordi, confermandosi un fuoriclasse. Di «nuovo», invece, cioè l'estro conta minatorio di un testo che se non è esente da momenti didattici (sarebbe stato impossibile, le fonti essendo il "Tritone", il «Fedone» e l’«Apologia» di Platone) introduce nel tema austero l'anticlimax farsesco delle «Nuvole» di Aristofane, s’avvale di un accorto montaggio cronologico includente il flash-back, evita la vana impresa di riproporci una Grecia di cartapesta e accortamente sospende la vicenda - senza lesinare allusioni al presente - nell'atmosfera romantica di un Ottocento neoclassico. E così il «caso Socrate» trova una collocazione mentale, e teatrale, che supera il vano dibattito e le contestazioni: proprio perché si incarna "storicamente" nell'epoca ancora vicina, documentabile, della riscoperta europea del pensiero greco.diventa, con ritrovata attualità, il caso di una filosofo che introduceva nell'Atene soddisfatta del "età dell'oro" l'arma rivoluzionaria del dubbio dialettico, che accettava la cicuta imposta da una "tirannide democratica" per affermare l'obbedienza alla legge morale e rifiutava la fuga dal carcere per non farsi complice della corruzione: questi i temi su cui Cerami ha realizzato il suo ritratto; che sarebbe stato apologetico senza la fisicità e l'umanità di Proietti.completa il disegno di insieme la limpida musica di Piovani eseguita dal vivo da un quintetto d'archi, prima in proscenio e poi nell'aula del tribunale.il testo di Cerami è un trittico. Nella prima parte il filosofo, in catene, riceve la moglie Santippe (Martina Carpi) e Critone, l'allievo prediletto (Mario Cei). Ad essi, che lo scongiurano di salvarsi con la fuga, al guardiano (Gianfranco Mauri) e al comandante del carcere (Umberto Ceriani) il filosofo oppone -  in un dibattito  dall’andamento forse un po' lento - il dovere della coerenza e il rispetto della legge: beve la cicuta e muore, fra i discepoli che ancora sperano nella sua salvezza. E’ il Socrate storico, di una logica che oggi può sconcertare («le leggi, emanate, sono sempre giuste») ma che Proietti impregna di dolorosa umanità, con il "sogno" di una morte fuori dalla prigione del corpo. La Santippe della Carpi è custode dell'amore coniugale senza gli aspetti caricaturali della leggenda; Mauri, tra il fool e la vox populi, Ceriani e Cei sono presenze di forte rilievo.la seconda parte, corale, in scena a posteriori il processo: agli accusatori Meleto e Anito (con accanito vigore, Sergio Leone e Leonardo De Colle) Socrate risponde con la sua temuta «astuzia retorica». E’ il sofista della coerenza; e Proietti, rifiutando il più facile registro di satiro schernente o di «grillo parlante», si impone con il fervore dell'uomo che sa di essere nel giusto. Qui Cerami, con la vis satirica di cui è capace, introduce la beffarda caricatura che di Socrate fa Aristofane, nel tribunale trasformato in cavea delle «Nuvole». Il Proietti che si era ricordato, prima, di essere stato l'interprete del «Coriolano», torna ad essere il gioioso mattatore di «Caro Petrolini»; in coppia con il villico Strepsiade dell’ottimo, farsesco Massimo Bagliani, diventa maschera di se stesso: un quarto d'ora dell’«altro» Proietti che si conclude con una selva di applausi. Per tornare ad essere il condannato a morte che, con voce roca, si congeda (oggi oppure 2500 anni fa?) da una società corrotta, intrigante, che l'accusato di corrompere i giovani per averli spinti alla rivoluzione della libertà.”
Ugo Ronfani 11/05/2000 Il Resto del Carlino