Teatro - regie

Falstaff e le allegre comari di Windsor

DETTAGLIO

Anno: 2001
Titolo: Falstaff e le allegre comari di Windsor
Data di debutto: 03/07/2001
Teatro del debutto: Teatro Romano
Città del debutto: Verona

CAST ARTISTICO

Giorgio Albertazzi, Sandra Collodel, Fiorella Rubino, Gianfranco Barra, Vittorio Viviani, Virgilio Zernitz, Pierluigi Corallo, Valentina Russo, Natale Russo, Marco Spiga, Nuvola Bianca Tivoli, Francesco Sala, Alessio Sardelli, Fabrizio Raggi, Emanuele Nicosia, Mario Fedele, Giuseppe Tumminello

CAST TECNICO

Autore: William Shakespeare

Regia: Gigi Proietti

Scene: Sergio Tramonti

Costumi: Francesca Cannavò

Musiche: Giuseppe Verdi

Disegno luci: Giuseppe Ardizzone

Traduzione e adattamento: Angelo Dallagiacoma

Musiche a cura di: Mario Vicari

CURIOSITÀ

Falstaff, commedia di humours come definiva l'Elisabettiano…  

Beh… non è proprio commedia, maybe "farsa"… perhaps…

…ma intesa in senso ottocentesco? O forse, farsa plautina?  

Beh, anche intreccio!

È questo il suo spessore? 

Bah! Ma fu la Regina che volle rivedere di nuovo in scena quel personaggio che tanto la divertiva.
Ah ecco. Rideva la Regina? 

Sembra di sì.

Quindi se noi non ridiamo siamo poco nobili? 

Beh, che centra?

Ma il titolo vero qual è: Falstaff e le allegre comari o semplicemente Le allegre comari di Windsor oppure…  

Molti giochi di parole tipici shakespeariani sono intraducibili. E allora che lingua usare? Ehhh…
Ma è popolare?  

Chi?
Falstaff…  

Oddio… proprio popolare… per noi italiani, poi. È mito. Ma nordico. Beve birra. Ma anche vino. Già anche vino. Nasce dall'Enrico IV e si parla della sua morte nell'Enrico V.
Questo bisogna saperlo per farlo capire poi al pubblico? 

Ma no, al pubblico non interessa.

E allora? 

Bah. Se fai teatro devi dimostrare che hai letto o al limite citare le tue letture per fare sapere che sei uno che legge.

Ma siamo sicuri? E se mettessimo sul programma i siti teatrali di Internet e ognuno si leggesse quello che gli pare? 

Già, ma allora a noi teatranti cosa resterebbe da fare?

Beh, il teatro. E il personaggio Falstaff è teatrale? 

Non è teatrale e basta. È il TEATRO.

Come può un personaggio da solo essere il teatro?

In parte riunendo in sé tutti gli "umori" delle interpretazioni, i vezzi le profondità, gli scarti di ritmo, le superficialità, il gonfiore e l'improvvisa secchezza, la grande verità della sua finzione: è aria. È certo: specchio, non della natura si badi, ma dell'arte. È frammentarietà, è costruito da pezzi di un tutto che fatica a stare insieme e che si scolla continuamente, rablesianamente, si partorisce in tanti piccoli Falstaffini per incollarsi di nuovo all'improvviso.

Ma la tradizione inglese vorrebbe che…  

Ripeto, questo su Internet. Noi sappiamo che Falstaff ha bisogno di fare capire alle comari e agli altri che tutti senza di lui burlato, "gli altri", non avrebbero un briciolo di sale! Evviva quindi la burla, olocausto al quale egli si sottopone con la voluttà di chi non vuole che il gioco (teatrale) finisca.
Ma è un testo "minore". 

Siano benedetti i testi minori, perché in essi è il regno della scena!
Quickly, chiamata Sveltina, è interpretata da un uomo, perché? 

Perché sì! Si potrebbe dire che è un residuo di antica compagnia shakesperiana che è, come Falstaff, una reminiscenza del prima… ma a che pro? La Sveltina sta in questo nostro Falstaff, degli altri sappiamo poco o niente. Lo scherzo, che è l'opposto del gioco, serve a edificare il gioco teatrale di sempre: quello infantile della rappresentazione. Ringraziamo Iddio, noi attori che abbiamo il privilegio di non avere interrotti i nostri giochi dell'infanzia e che possiamo continuarli fino alla morte, che nel teatro si replica tutte le sere. Le comari giocano e ridono, ridono nella pericolosità estrema del gioco… aspettare che si replichi, per mangiarselo di nuovo.
Sono note poco chiare. Ma una regia non è, né deve essere, un saggio letterario. Grazie!

Gigi Proietti 

CRITICA
"Non ne possiede il fisico strabordante, ma poteva aiutarlo un' imbottitura: col suo piglio di sbruffone smargiasso e aggressivo, Gigi Proietti sarebbe stato un Falstaff stupefacente. Ancora una volta l' attore romano ha preferito scegliersi però il ruolo di regista e, nel suo allestimento di Falstaff e le allegre comari di Windsor al Teatro Romano di Verona, per il protagonista entrato per l' occasione nel titolo, ha puntato su Giorgio Albertazzi, che a sua volta non ha il fisico, ma avanzando in età, davanti ai grandi personaggi trova sempre più spesso uno stato di grazia intriso di follia: ed eccolo ridimensionarsi addosso il mancato eroe, mettendo da parte i modelli comici dei Cervi e dei Buazzelli a profitto del sarcasmo e della sprezzante autocommiserazione prestati da Memo Benassi a Malvolio, un' altra vittima del Bardo. Del resto questo Falstaff in prosa è assai meno frequentato in Italia del suo discendente musicale, ricreato da Verdi rinsanguando un' opera scespiriana marginale, nata secondo la leggenda per saziare la curiosità di una regina: una nuova puntata delle avventure di Falstaff commissionata da Elisabetta per ritrovare e sfruttare in una commedia quotidiana la miseranda figura ribelle inventata dal poeta come poderoso contraltare dei potenti nelle due parti di Enrico IV, una "storia" che non ha certo da noi la stessa popolarità che in patria. E a congiurare contro una sua più intensa circolazione contribuisce pure la distanza del linguaggio comico d' epoca. La riedizione veronese parte dunque dalla nuova versione viva e provocatoria firmata da un traduttore pazzo di Shakespeare come Angelo Dallagiacoma il quale, oltre ad arrangiare qualche scena, attualizza a man bassa fino a coinvolgere il ministero delle pari opportunità, ma cita anche spiritosamente l' Amleto, Pirandello e soprattutto Verdi di cui tornano attacchi e motivi prima dell' esplodere finale di "Tutti gabbati!". Tra scuri contorni e lignee pedane alla Globe Theatre, Sergio Tramonti drizza una triplice doppia scala per un' azione senza respiro che si specchia deformata in un grande schermo di fondo: solo un' apparenza, perché basta girare una manovella e sul rovescio traspare una stampa elisabettiana. È un teatro nel teatro che, per rifrangere la serie crudele delle beffe dalla protervia credulona di Falstaff su tutte le parti del complotto, lascia l' ispirazione gotica per evocare la scena napoletana grazie al Ford del travolgente Vittorio Viviani e al Caius portato nel mondo delle maschere da Gianfranco Barra; e assaggia il varietà con Andrea Buscemi, Natale Russo e Francesco Sala, dà spazio a Daniele Griggio e al giovane Pierluigi Corallo, mentre Sandra Collodel e Fiorella Rubino menano la danza, destinata a spegnersi in una routine ripetitiva su cui tornano a volare i toni flautati di Albertazzi. Tra pulcinellerie e sconquassi da non perdere la signora Quickly: ribattezzata "la Sveltina", la anima con ruffianesco candore e biforcuta lingua veneta un attore di cui i buongustai attendono i rari ritorni: il bravissimo Virgilio Zernitz, giustamente acclamato."
Franco Quadri, 07/07/2001 La Repubblica

"Misterioso Shakespeare. Delle sue trentasette o trentotto pièces, poche hanno presso i critici una fama peggiore delle «Allegre comari di Windsor», farsa dove il Bardo avrebbe resuscitato dietro augusta richiesta il popolarissimo personaggio solo per umiliarlo come capro espiatorio. Persino Harold Bloom, che affianca Falstaff ad Amleto come culmine della creatività shakespeariana, pensa all' «EnricoIV» e considera le «Allegre comari» come un episodio quasi imbarazzante, in parte riscattato da Verdi e Boito. Eppure Bloom e colleghi parlano di un testo che sulla scena non ha mai smesso di funzionare. «Tutto è bene», mettiamo, o «Re Giovanni», considerati in parte mancati, sono allestiti di rado; ma le «Allegre comari» si dà spesso, e chiama, fa ridere, piace, il che dopotutto non avviene con molte altre commedie scritte quattrocento anni fa. L'allestimento diretto da Gigi Proietti per il Teatro Romano non fa eccezione: tutto esaurito alla terza recita che ho ascoltato io, liete reazioni e tripudio alla fine. E', d'accordo, un'esecuzione eccellente, piena di allegria, semplice e veloce come il genere comico richiede; ma a questo punto si sospetta che il testo vi abbia qualche merito. Anche perché, pur con le aggiunte di battute (talvolta, proprio da Boito) e di gag mediante le quali la traduzione di Angelo Dallagiacoma lo ha modernizzato, il dettato è fondamentalmente quello originale, né cambia la storia delle tre beffe giocate all'intraprendente Sir John dalle due mogli di borghesi di Stratford alle quali l'impenitente ganimede si è permesso di rivolgere profferte. Audacemente le donne lo convocano a casa di una di loro, annunciano l'arrivo del coniuge e lo fanno fuggire ignobilmente in una cesta di panni sporchi; poi lo convocano di nuovo, e lo fanno bastonare; infine lo attirano di notte nel parco, e lo sbeffeggiano con tutta là comunità. Il pepe nella situazione lo mette la gelosia dì uno dei mariti, il quale ignaro del complotto della sua signora la spia e si angoscia; e c'è una seconda trama con burla, riguardante una figlia che riesce a evitare i due pretendenti approvati dai genitori per sposarne a sorpresa un terzo. Ora, può non meravigliare che oggi, in epoca di femminismo, gli spettatori solidarizzino con le intraprendenti comari, soprattutto data la vivacità della coppia formata da Sandra Collodel e Fiorella Rubino; e bisogna aggiungere che Vittorio Viviani è molto buffo come il geloso Ford, e che Virgilio Zernitz è molto spiritoso come l'instancabile ruffiana Mrs Quickly, qui madonna Sveltina. Ma l'attrazione del lavoro, come sottolinea anche il titolo di questa edizione «Falstaff e le allegre comari di Windsor» è legata al protagonista, un gaudente di professione per il quale era facile fare il tifo negli «Enrichi», quando la sua programmatica vigliaccheria si contrapponeva alla violenza insensata delle guerre civili, ma che adesso può rischiare di sembrare soltanto negativo, un egoista insidiatore di paci domestiche. E qui pensa Giorgio Albertazzi, opportunamente imbottito e ingigantito, a renderlo simpatico con la grazia della sua razionalità: il suo Falstaff non è una forza della natura, un leviatano dagli appetiti insaziabili, bensì un irriducibile trasgressore che si guarda agire, lieto ogni volta che conferma a se stesso di essere ancora vivo e in grado di sottrarsi alle convenzioni. Peccato solo che come se non gli bastasse una carriera nel segno della leggerezza, l'attore questa leggerezza tenga a sottolineare in una battuta aggiunta alla fine: la leggerezza c'è o non c'è, quando ne parla troppo comincia a acquistare peso. In una brillante soluzione scenica di Sergio Tramonti, con un grande specchio incorniciato e ruotante come fondale e certj ponti mobili, in piacevoli costumi di Francesca Cannavò, d'epoca senza troppa filologia, tutti sono a loro agio, ricordiamo ancora almeno Andrea Buscami, Natale Russo e Gianfranco Barra. Insomma, due ore e mezzo con intervallo, e spasso generale. Oggi si chiude a Verona, poi tournée estiva"
Masolino D'Amico, 10/07/2001 La Stampa