Teatro - regie
Guardami negli occhi
DETTAGLIO
Anno: 1989Titolo: Guardami negli occhi
Data di debutto: 25/04/1989
Teatro del debutto: Ridotto del Teatro dell'Aquila
Città del debutto: L'Aquila
CAST ARTISTICO
Roberto Herlitzka, Sandra Collodel, Virgilio Zernitz, Antonio Meschini, Daniela Giovannetti, Luigi TontoranelliCAST TECNICO
Autore: Georges Feydeau e Maurice Hennequin
Regia: Gigi Proietti
Scene: Franco Nonnis
Costumi: Alessandro Consiglio
Musiche: Federico Capranica
Traduzione: Pier Benedetto Bertoli
Assistente alla regia: Loredana Scaramella
CRITICA
"Eugenio Ribadier, funzionario delle Ferrovie, ha escogitato un sistema semplice e scientifico per ingannare la gelosissima moglie Angela: quando la sera deve
raggiungere l'amante Teresa, ipnotizza la legittima consorte che dormirà per tutto il tempo della scappatella e al risveglio,
«eccomi qua, chi si è mosso?», ridacchia sotto i baffi l'adultero. A creargli complicazioni intervengono sia le memorie scritte dall'ex marito della signora, noto libertino cui piaceva propagandare i
suoi sistemi per imbrogliare mogli e affini, sia la visita inaspettata di un amico di famiglia
nonché spasimante di Angela. Per farla breve, il «sistema» fallisce per casualità e dopo gli equivoci e qui prò quo di rito, i due coniugi si
riappacificano. Ma il signor Ribadier non ha perso né il pelo né il vizio... Come decretato dalla geometria amorosa di tutti ì tempi,
sia nel tragico sia nel comico, il triangolo è figura principe, anche se Feydeau, per le
sue trame, si è spesso ispirato ad intrecci assai più poliedrici. Cosi ne II sistema Ribodier al centro della vicenda c'è un
triangolo. Anzi è l'idea stessa del «triangolo», di quell'amante vero o presunto che abita in
tutte le coppie, ad essere protagonista
della commedia. Tra operetta e melodramma
i personaggi di Feydeau visti da Gigi Proietti superano i confini della «caricatura» per
entrare in un mondo clownesco, fatto di buffonerie. Gesti distorti o amplificali, costumi dal colori sgargianti, esuberanza
di smorfie e di «a parte», presa diretta con il pubblico che diventa un interlocutore
costante e, in fondo, il più fedele
In tutto quel «pasticcio».
La vita è un circo, dunque, in cui c'è posto per l'amicizia cavalleresca e per le piccole furbizie, per gli Inganni e per le dichiarazioni d'amore. Un'arena fine secolo in cui si danno
convegno le illusioni e gli «atti unici» di un'epoca chiamata bella a cavallo fra frivolezze e pigrizie, mentre, fuori dai teatri parigini, i socialisti facevano il loro Ingresso alla Camera e il caso Dreyfus stava
portando Ia Francia sull'orlo della guerra civile. Insomma, dietro le geometrie complesse delle commedie di Feydeau,
dietro queste figurette assurde, il mondo stava cambiando.
Secondo spettacolo della rassegna Amanti, rassegna che sigla la resurrezione dello stabile aquilano sotto l'egida delia
Regione Abruzzo, lì sistema Ribadier ha convinto motto il pubblico della «prima» che
sentiva aleggiare tra gli attori in scena la presenza del nuovo direttore artistico, regista e fiore all'occhiello, Gigi Proletti.
Sotto le maglie di una regia spensierata, burlona, tutti hanno fatto proprie le indicazioni
di un »maestro» che in ogni parte ha messo un po' di sé, nei gesti, nelle occhiate, nella
voce. A ciò Roberto Herlitzka ha aggiunto la sua formidabile maestria d'attore che lo porta
con estrema coerenza interpretativa ad affrontare ruoli drammatici e ruoli, come questo, buffoneschi, con lo stesso
successo. Accanto a lui Sandra Collodel, attrice nata e cresciuta nel laboratorio di
Proietti, nei panni della signora
Ribadier, ha addirittura infiammato il cuore di alcuni spettatori che tra una risata e
l'altra parteggiavano apertamente
per la moglie oppressiva."
Giunto il suo turno di regia, la cura ricostituente che il direttore artistico Luigi Proietti ha meditato per il Teatro Stabile aquilano si affida senza economie (di virtuosismi) ad un' opera di Feydeau e Hennequin, Il sistema Ribadier, che torchia i costumi, i triangoli, le macchinerie di un repertorio borghese che più borghese non si può. Le ricostituende strutture di questo organismo pubblico di prosa sembrano dunque far appello su una drammaturgia conoscibile, oleata, popolare. Eppure sarebbe riduttivo se classificassimo il debutto dello spettacolo al Ridotto solo secondo i canoni di una critica al testo di un tempo e a un mestiere di adesso. Bisogna intanto fare i conti con uno spumeggiante quanto odiernamente corrivo adattamento-traduzione che reca la firma d' un purtroppo scomparso professionista della scrittura, Pier Benedetto Bertoli. E c' è ovunque, su più livelli, lo zampino del regista, incline a squartare la materia comica, a distillarla, a farne tavole illustrate alla Walter Molino, usando le sequenze come inquadrature al ralenti o all' acido solforico. L' intrusione funambolica del Proietti allestitore giunge a ribattezzare la pièce, che ora antepone Guardami negli occhi al titolo originario facendo leva sul trucco ipnotico che ricorre spesso nella commedia allorché Monsieur Ribadier stordisce la moglie per concedersi le sue marachelle extraconiugali. C' è di più: c' è sembrata proprio la voce del Gigi nazionale, quella emanata da un incombente ritratto del fu consorte libertino della signora, quando s' ode un prologo grifagno a base di lumière e guepière. Ma la cifra di questa messinscena va squisitamente e nevroticamente al di là della storiella salace, con sopravvenuto incastro d' un ex spasimante della padrona di casa che s' era esiliato a Batavia, con la complicazione buffa delle rimostranze d' un vinaio becco (e affarista) che s' è avveduto della tresca fra la propria donna e il dongiovannesco Ribadier, non trascurando nemmeno gli amori furtivi e paralleli fra una Colombina domestica e un cocchiere d' appendice. La risorsa più fervida di questo lavoro è a nostro giudizio nel putiferio espressivo dei singoli interpreti per i quali sembra si sia congetturato un vaudeville di dinamiche lombrosiane, tale da far affiorare ogni mania, ogni raptus schizoide che le tecniche di recitazione vecchie e nuove abbiano in catalogo. Il contesto ameno di Feydeau sembra catapultarsi in un canovaccio di (benvenuta? abbastanza) commedia demenziale dell' arte, con attori che sempre manifestano le battute, più che soltanto enunciarle e sentirle. Insomma, piaccia o non piaccia l' esperimento, la mimica è così al calor bianco che si potrebbe licenziare, a queste condizioni, uno spettacolo muto. Tutto, stilisticamente, parla. A cominciare dall' ambiente che è damascato, pittoresco, saturo (il quadro col defunto s' avvale anche di baffi semoventi, un po' da montaggio delle attrazioni). E lasciamo immaginare quanto esplicite siano le mode, i vezzi, le torniture dei personaggi. Ma ci si lasci fare un elogio libero di Roberto Herlitzka, il furbastro fedifrago che deve vedersela coi tallonamenti della sua madame, con l' invasione di un amico rivale, insomma con tutti: la Belle Epoque, anche quella ironica e schnitzleriana, s' addice in modo efficace alla sua sagoma grama, eccitata, ma ora che qui ha pieno arbitrio d' imbizzarrirsi, di strabuzzare gli arti, di infoschire i toni, gioca su una gamma di paradossi da felicissimo uomo di teatro, mettendo a nudo una bravura temporalesca, arcana, quasi mefistica. Accanto al fremente Ribadier, la moglie vittima ma smaliziata resa da Sandra Collodel sceglie i giusti e simpatici ritmi di una virago da cammeo, mentre Virgilio Zernitz aderisce a un terzo incomodo di foggia e marzialità esotiche, sottolineando una sorta di gaudio equestre adombrato dal regista Proietti anche nella sagoma del commerciante cocu cui Antonio Meschini sa regalare una bonomia con le tinte di un clown della società. C' è anche il contributo piccante e a volte coreografico di Daniela Giovannetti in panni di ragazza factotum. E Luigi Tontoranelli è il proletario che si prende i fulmini. L' impianto d' antan reca la firma di Franco Nonnis. Il guardaroba è siglato da Alessandro Consiglio; le musiche da Federico Capranica.
Rodolfo Di Giammarco 04/05/1989 La Repubblica