Teatro - regie
Il gatto in tasca
DETTAGLIO
Anno: 1981Titolo: Il gatto in tasca
Data di debutto: 25/02/1981
Teatro del debutto: Teatro Brancaccio
Città del debutto: Roma
CAST ARTISTICO
Mario Carotenuto, Ugo Pagliai, Paola Gassman, Mario Bussolino, Silvana De Santis, Roberta Lerici, Massimo Bagliani, Virgilio ZernitzCAST TECNICO
Autore: Georges Feydeau
Regia: Gigi Proietti
Scene: Giovanni Agostinucci
Costumi: Giulia De Riu
Musiche: Fiorenzo Carpi
CRITICA
Bianco, rosso, nero e oro, i colori da parata militare che vestono l’enorme palcoscenico del teatro Brancaccio, rendono squillante,
come una fanfara, il testo che qui viene rappresentato: è una pochade — rarissimamente frequentata persino in Francia — di titolo idiomatico. «Il gatto in tasca», che fu stesa direttamente per la scena nel 1888
da un Georges Feydeau appena ventiseienne; se nella capitale del vaudeville ha goduto di due sole rappresentazioni (oltre l'immediata
« prima » parigina ci fu sempre a Parigi, nel 1964, una « carnale » regia per mano di Jean Laurent Cochet), questo piccolo capolavoro del teatro dell’equivoco e del malinteso verbale, da noi non è mai stato neppure pubblicato. E’ chiaro, quindi il primo merito che va a Roberto Lerici. scopritore e adattatore, e a Gigi Proietti, regista della versione d'oggi:
alle prese per di più, e in special modo il primo, con difficoltà di traduzione di primo acchito insormontabili. Un accenno alIa spinosità della questione risulta visibile fin dal titolo : «chat en poche» è l’equivalente francese, infatti del nostro modo di dire «a scatola chiusa»; in questo caso, sta ad indicare il cieco contratto che il grasso borghese
Pacarel ha steso in un momento d’euforia. A dar lustro ad una schiatta,
la sua, appena giunta nel paradiso dei grandi ricchi grazie a certe speculazioni sullo zucchero per diabetici.
Pacarel ha deciso di assoldare un celebre tenore e di metterlo all'Opera a cantare l'aria dell'Otello che sua figlia Giulia ha scritto.
Siamo appena agli Inizi del testo scatenato: nel salotto in cui i Picarel sono riuniti per festeggiare con degli amici altrettanto parvenu
(i Landernau, qui divenuti D’Obitor), capita a questo punto Du Falset, un
giovanotto spensierato, e stonato, che, com'è nella migliore
tradizione, viene scambiato da tutti per il cantante.
Se non bastasse, il dandy, ci mette un carico ulteriore, innamorandosi della bella Marthe Pacarel e scambiandola a sua volta per la grassa
e goffa Amandine (« Mandorlina »), della coppia D'Obitor; dì qui una catena di equivoci, ulteriori scambi di persona, qui-pro-quo da
manuale e vertiginosi, verbali, fuochi d’artificio.
Già i nomi parodistici dei personaggi dicono che siamo nel puro regno della farsa (gli aggiustamenti non tradiscono lo spirito originario
dell'autore); lontani, o alle soglie, delle costruzioni adulte — più sofisticate, più sottilmente misteriose — di Feydeau.
Qualcuno, alla ripresa in Francia, osservò la coincidenza della data di stesura di questa pièce con quella celeberrima di Jarry, l’Ubu: ad indicare, cosi, una porta fin d'ora aperta su quel sentiero
che unisce Feydeau alle «avanguardie», fino a lonesco. Se è vero che il non sense tutto verbale del Gatto in tasca (per ovvi motivi liberamente reso da Roberto Lerici) prelude, più di altri testi, al teatro dell’Assurdo,
va detto che, nella messinscena di oggi. Proietti — alla sua prima regia — ha tenuto conto soprattutto del meccanismo della risata.
La regia esibisce tutti insieme fin dall'inizio, in una ostentazione da vetrina, la marchiana stupidità, il pessimo gusto, la stolida danarosità
dei personaggi e dell’ambiente. Quei colori, rosso, nero, oro e bianco, sono un bel pugno nell'occhio dello spettatore, la cui attenzione
è per di più fatalmente convogliata fin dall’inizio da certi mostruosi, enormi caminetti siti ai lati del palco. A Roma siamo alla seconda
(ed ultima) tappa di una «minimaratona» in omaggio al commediografo
francese, (martedì è stato il turno dell'Albergo allestito da Bosetti); vale la pena allora di rilevare quanto l'operazione di Proietti all'opposto
dell'altra tende ad eliminare le eccessive riflessioni fin dalla caratterizzazione degli attori. Mario Carotenuto. Paola Gassman, Ugo Pagliai, Silvana De Santis e Mario Bussolino fra gli altri componevano un cast per il quale, superato un « rodaggio » esteso a quasi tutto il primo atto, non esistevano mezze tinte: bravissimo Il primo, nei panni
di Pacarel è magistrale a far impigliare il suo personaggio nei preziosismi linguistici dell'ignorante: efficace la Gassman, una Marthe
affascinante, con la vernice signorile che manca agli altri personaggi: insospettato quanto a qualità comiche il terzo, nei panni di Du Falset: adeguata la De Santis (Amandine) e più sottile (non solo figurativamente) Bussolino, signore D’Obitor.
M.Serena Palieri 27/02/1981 L'Unità