Teatro - regie

La Presidentessa

DETTAGLIO

Anno: 2005
Titolo: La Presidentessa
Data di debutto: 15/12/2005
Teatro del debutto: Teatro Brancaccio
Città del debutto: Roma

CAST ARTISTICO

Sabrina Ferilli, Maurizio Micheli, Paila Pavese, Virgilio Zernitz, Miro Landoni, Massimiliano Giovanetti, Gianni Cannavacciuolo, Daniela Terreri, Andrea Pirolli, Susanna Proietti, Ernesto Forlini

CAST TECNICO

Autore: Maurice Hennequin, Pierre Veber

Regia: Gigi Proietti

Scene: Alessandro Chiti

Costumi: Mariolina Bono

Musiche: a cura di Mario Vicari

Disegno luci: Luca Maneli

Progetto fonico: Franco Patimo

Adattamento: Gigi Proietti

Aiuto regia: Sebastiano Bianco

Direzione tecnica: Stefano Cianfichi

CRITICA
"Bruna, sexy, allegra come tiene sempre ad essere, Sabrina Ferilli vince al Brancaccio la sua scommessa con il teatro canonico, quello più parlato che cantato, nel quale non si era fino ad oggi cimentata. Protagonista femminile de La Presidentessa, nota pochade di Maurice Hennequin e Pierre Veber, scritta nel 1912 e riadattata qui da Gigi Proietti (che firma anche la regia), va in scena tutte le sere in abiti e biancheria d'epoca - le repliche sono fino al 29 gennaio prossimo - nei panni di una sciantosa ammiccante, un po' francese e un po' romanesca, sentimentale e molto libera. Vince la sua scommessa perché onora il disegno sapientissimo di Proietti, che versa nella rappresentazione citazioni del cafè chantant e umori d'avanspettacolo. Vince perché si presta ad ogni linea, dritta o curva, ad ogni deformazione, ad ogni invenzione. E fa bene, appunto: Gigi le ha cucito addosso l'irresistibile efficacia della baccante simpatica cui nessuna alcova è preclusa, e che alla fine «rimedia» (con merito) persino le nozze con un ministro. La storia si nutre di amplessi, corna vere e presunte, passioni provinciali, fuochi politici, comici malcostumi. Gli scambi di persona e il gioco degli equivoci fanno da piattaforma alla risata. Ma il grimaldello che scardina la compostezza degli spettatori è senz'altro (assieme alle grazie della protagonista) la geniale decisione di Proietti di ambientare tutto fra un appartato sud italiano e la Capitale, comminando ad ogni personaggio una parlata dialettale diversa. L'anziano presidente del Tribunale (Virgilio Zernitz) ha il suo bravo accento veneto; la di lui moglie (un'esilarante PAila PAvese) si esprime in un burino stretto; l'usciere del Ministero, in milanese sboccato (ottima la caratterizzazione di Miro Landoni). Eccetera. A cominciare dalla calata pugliese del ministro della Giustizia (Oronzo Piccione nell'adattamento di Proietti), che Maurizio Micheli costruisce a tutto tondo con una bravura preziosa, incapace di scendere nella volgarità, sempre travolgente per effetto comico e brillantezza. E bene tutti i comprimari dal primo all'ultimo (grande il vigile Pesce, pallido e salace, di Gianni Cannavacciuolo; fragrante la ragazzina «in inglese» di Susanna Proietti), sui quali il regista si è chinato con la stessa cura che ha dedicato ai protagonisti. Accurate le musiche, azzeccatissimi i sipari, da quello del prologo, in rosso e nero, alla torta nuziale dell'epilogo, sfavillante di gioia comunicativa. Che dire? Al Brancaccio si ride di gusto, ed è la classica risata da buon sangue che nemmeno le battute riferibili alla triste attualità socio-politica dei giorni nostri riescono a guastare. Alla Ferilli un altro encomio: dopo aver affrontato il musical con Garinei, tanto cinema e tanta tv, ci si presenta, in questa Presidentessa, appassionata e generosa come una neofita, al punto tale da strappare applausi a scena aperta anche girando con la testa dentro un cestino della spazzatura. Brava Sabrina."
Rita Sala, 18/12/2005 Il Messaggero

"«Quel signore che scriveva tante porcherie», come la padrona di casa dell'appartamento romano in piazza di Spagna soprannominava  il suo inquilino Maurice Hennequin, mai avrebbe potuto immaginare che proprio a Roma quasi cent'anni dopo il battesimo della commedia-vaudeville La Presidentessa, sua e di Pierre Veber (che ebbe tanto successo a Parigi da costringere ad una pausa Feydeau) avrebbe avuto un congruo revival non più all' insegna di spudoratezza, puro automatismo e disumanità dell' intrigo. Non poteva immaginare, Hennequin, che uno come Gigi Proietti avrebbe rimesso il testo sul tavolo d'un laboratorio linguistico ottenendone, con adattamento e regia (e relativa felice idea di cast), un caravanserraglio comico di gerghi, di parlate, di inflessioni e di dialetti, dove i suoni delle battute hanno a volte più senso delle assurdità delle frasi. E impensabile sarebbe stato prevedere che un' interprete di per sé statuaria e arrembante come Sabrina Ferilli, richiamo di questo spettacolo, avrebbe tirato fuori una grinta felpata, un professionismo da commedia all' italiana non mettendo la sua bellezza (che c'è) al servizio del profilo solo godereccio della canzonettista-sciantosa disponibile a ogni letto (col risultato di una rapida carriera di un magistrato di provincia ritenuto a torto suo marito da un ministro della Giustizia che per una notte gode delle grazie della donna). La Ferilli ha comunicativa teatrale soprattutto quando è vestita di tutto punto, quando mostra i tempi, i toni sornioni, gli scarti tra i francesismi, il vernacolo, le cadenze da attriciue del varietà. Funziona meno solo un suo momento di cafè-chantant cameratesco, un fuori-programma. Il resto, tutto il lavoro suo e collettivo è, grazie ai gusti lessicali della regia, un treno di avventurismi babelici che qui parte dal nostro meridione e fa sosta nella Roma del ministero e di un albergo: un formidabile e insostituibile Maurizio Micheli è un guardasigilli di marca pugliese, il bravo Virgilio Zernitz è un magistrato veneto, sua moglie Paila Pavese è una sfrenata ruspante, Miro Landoni è un irresistibile usciere lumbard, Gianni Cannavacciuolo è uno squisito poliziotto catastroficamente bilingue, Susanna Proietti ha una felice anglofonia come da copione. E il contenitore ruotante di Alessandro Chiti diventa alla fine con ironia una torta nuziale."
Rodolfo Di Giammarco, 19/12/2005 La Repubblica

"Grazie al talento multiforme di Gigi Proietti che, sul vaudeville di marca francese potrebbe scrivere un saggio ponderoso, torna in un'edizione debitamente aggiornata ai vizi e ai vezzi di casa nostra quel piccolo classico di multiforme ironia che, sotto il titolo La Presidentessa, l'infaticabile coppia Hennequin e Veber produsse non lontano 1912. Un anno di grazi per il mondo variopinto e chiassoso del boulevard che, alla vigilia della Grande Guerra, si preparava al conflitto armato con l'allegra incoscienza di una banda di goliardi. Di quel mondo che s'illudeva di scongiurare il fantasma sanguinoso degli eventi procedendo impavido sulle orme di Feydeau, La Presidentessa nella sua corsa frenetica al piacere ingentilita dalla gaia innocenza della burla rappresenta la sintesi risolutiva. Perché nella vicenda dell'intraprendente Gobette che, in casa del Presidente Furlon, facendosi passare per la sua casta consorte, attizza il fuoco di fila degli equivoci e l'effetto a sorpresa delle agnizioni impossibili, Parigi elevava la Francia a caput mundi.
Un capolavoro dunque? Ci manca poco. Tanto è vero che nel perfetto congegno ad orologeria predisposto dai due grandi artigiani, Gigi Proietti non ha solo ritrovato l'estro delle sue prove più felici ma, scatenandosi da par suo, ha impresso alle cesure e ai qui pro quo un irresistibile ritmo da Helzapoppin. Dapprima imponendo alla vis comica irriverente e beffarda di Alessandro Chiti la scena a soffietto dell'ufficio del ministro irta di divani capitonné per gli amplessi proibiti del politico ma ingombra di camapanelli che, suonando la momento inopportuno, mettono i colombini in apprensione suscitando indecorosi sospetti, e poi imprimendo al corodei figuranti il frenetico adattamento dell'opera buffa siglato, nel Matrimonio segreto, dall'immortale Cimarosa. Con tre magistrati dell'inizio che si sbracciano e mugolano ad arte come periferiche sciantose e l'impagabile usciere lombardo di Miro Landoni che sbraita ingiurie a raffica degne dei Legnanesi. Prima che, nella stanza dei bottoni, si materializzi il bravissimo Maurizio Micheli che, oltre alla cadenza pugliese e agli inconsulti gesti burattineschi, sfoggia la stessa mimica stralunata e feroce che, fino a ieri, era appannaggio di Alberto Lionello. In un andirivieni di ascese al vertice e di terrificante precipitar di gonnelle, Paila Pavese sfoggia una sapienza vernacolare da comica di razza mentre il sussiegoso Virgilio Zernitz, nei panni del marito cornuto, piangendo come un vitello inalbera il riso sciocco dei fatui. Su tutti poi domina da maliarda strepitosa e suadente, col suo charme da primadonna della risata e movenze feline da professionista del piacere, una Sabrina Ferilli lieve e soffice come un biscuit, che canta con grazia e languida propaga per ogni dove l'eterno profumo della seduzione.
Enrico Groppali, 19/12/2005 Il GIornale