Teatro - regie

Non ti conosco più

DETTAGLIO

Anno: 2003
Titolo: Non ti conosco più

CAST ARTISTICO

Sandra Collodel, Edoardo Siravo, Vittorio Viviani, Gisella Sofio, Valentina Piserchia, Natale Russo, Francesca Di Meo, Ilaria Cramerotti, Alessia Giangiuliani

CAST TECNICO

Autore: Aldo De Benedetti

Regia: Gigi Proietti

Scene: Ezio Frigerio

Costumi: Franca Squarciapino

Disegno luci: Giuseppe Ardizzone

Assistente alla regia: Sebastiano Bianco

CRITICA
"Aldo De Benedetti (1892-1970) conobbe una buona notorietà nel decennio anteguerra, in doppia veste di commediografo e sceneggiatore cinematografico. Alle soglie del conflitto, le famigerate leggi razziali ne bloccarono l'attività, ripresa nel periodo postbellico, di nuovo con discreta fortuna. Non ti conosco più, ora riproposta ( in questi giorni a Roma, al Quirino) dallo Stabile dell'Aquila , si data al lontano 1932 ed ha avuto anche, già all'epoca e poi di recente, versioni per lo schermo: l'ultima delle quali, diretta da Sergio Corbucci, vedeva tra gli interpretiGigi Proietti, il quale firma a sua volta la regia dell'attuale allestimento.In un interno medio-alto borghese, ecco svilupparsi la vicenda della bella Luisa e di suo marito Paolo, avvocato di grido. Lei, un brutto giorno, tornando in casa, sembra non identificare, in quell'uomo, il legittimo consorte.Che, assai turbato, chiama in soccorso lo psichiatra Alberto Spinelli. Questi fornisce, di quell'apparente caso di amnesia, una modesta diagnosi, ma nessuna cura efficace. Le cose, anzi, si complicano: Luisa, infatti, scambiaAlberto per Paolo, fino al limite della camera da letto. I due, del resto, stanno quanto possibile al gioco, donde una catena di equivoci solo in parte premeditati. E l'accomodamento conclusivo della situazione risulta non poco forzoso.Curioso testo, invero: da un lato potrebbe strizzare l'occhio, o fare il verso, a Pirandello; dall'altro echeggia, certo con garbo e spirito, i modi di un teatro di boulevard (si può pensare, per esempio, a Feydeau). Ciò che colpisce, semmai, è l'aria del tempo, i riferimenti al clima incombente di quegli Anni Trenta, quando Non ti conosco più fu scritta e rappresentata per la prima volta. Quelle intemerate, tra il serio e il faceto, contro il celibato ci ricordano che il regime fascista arrivò ad imporre una tassa sugli scapoli (qualcuno, oggi al governo, pare sia tentato di adottare simili norme). Ed è forse inutile sottolineare l'arretratezza della scienza medica nel trattamento delle malattie di mentali, quale si ricava dai discorsi del professor Alberto e dell'avvocato Paolo.Lo spettacolo, comunque, risulta più gradevole che problematico, e fila liscio nelle sue due ore di durata, con unico intervallo. Proietti imprime all'azione il giusto ritmo e la cornice ambientale, affidata alla solida coppia Ezio Frigerio scenografo - Franca Squarciapino costumista , contribuisce a mettere gli attori a loro agio, in grado di esprimere il meglio del loro talento: Sandra Collodel tiene con sicurezza in delicato equilibrio la grazia e l'arguzia richieste dal personaggio di Luisa. Edoardo Siravo, Paolo, eVittorio Viviani, Alberto, danno smalto di gesti e brillìo verbale alle due figure maschili. Gisella Sofio ben colorisce il ritrattino della zia Clotilde, mal capitata in mezzo a quell'imbroglio. Valentina Piserchia, Francesca Di Meo ,Ilaria Camerotti, Alessia Giangiuliani completano il reparto femminile. Natale Russo è, con efficacia, il cameriere Francesco, vessato dalle confuse smanie padronali. A conti fatti, si direbbe appropriato il recupero di questa commedia. Ricordando, per l'occasione, una pertinente frase del suo autore: «Brutto segno quando in una cultura comincia ad affievolirsi l'umorismo! Significa che gli individui si accingono a rinunciare alla propria libertà»."
Aggeo Savioli 23/03/2003 L'Unità

"Forse colpita da uno strano male psichico, improvvisamente una moglie non riconosce più il marito, anzi, peggio: crede di riconoscere il marito nel luminare convocato in fretta per esaminare il caso. Ritenendo opportuno assecondarla, per un po' dunque il medico si finge marito, mentre il marito tenta di giustificare la propria presenza spacciandosi per ospite, sia pure alquanto importuno. Alla lunga però davanti alle richieste di tenerezza della donna, il dottore perde un po' della sua impassibilità... Molti avranno già riconosciuto il punto di partenza di «Non ti conosco più» (1932), una delle commedie di maggior successo di Aldo De Benedetti, ripresa anche in epoca non cosi remota da Renato Rascel e filmata due volte, una all'epoca dei telefoni bianchi, da Nunzio Malasomma con Vittorio De Sica, un'altra da Sergio Corbucci con Monica Vitti, Johnny Dorelli e Gigi Proietti, ora regista dell'edizione che ha debuttato al Quirino. C'erano infatti parecchi modi di affrontare un testo cosi lontano, nella sua ostentata leggerezza. Uno, probabilmente suicida, potrebb'essere di trattarlo con serietà di fondo, alla stregua di un lavoro realistico, magari drammatico, sottolineandone la componente pirandelliana. Oppure si potrebbe prenderne risolutamente le distanze, come oggi si fa talvolta con De Benedetti (Luciano Mondolfo propose in questa chiave «L'alba, il giorno e la notte»), dandone una lettura stralunata, paradossale, grottesca. Proietti ha scelto la strada più semplice e più difficile, quella di badare a fame funzionare i meccanismi comici, senza nulla sottolineare. Per ottenere questo occorre una squadra in cui tutti rispettno i tempi, nella certezza che ciascuno, a turno, avrà il proprio momento di gloria. Si parte col piede giusto, perché la scenografia di Ezio Frigerio, una parodia di lussuosa villa di regime, crea subito il clima adatto, con la sua giocosa stravaganza anni trenta, in dichiarato cartone; e i costumi di Franca Squarciapino sono brillanti badando bene a non risultare eccessivi. Ma poi quello che conta davvero è il gioco degli attori, e questi sono tutti da encomiare, con una nota particolare per Vittorio Viviani come il luminare coinvolto nell'avventura. Viviani è ben scelto anche fisicamente, perché mentre i due coniugi, Sandra Collodel e Edoardo Siravo, sono alti e imponenti, due «belli», lui è piccolo e nervoso, ma, tutto compreso della propria dignità (il tormentone sul soprabito che non riesce a farsi appendere come vorrebbe), arriva per ultimo a registrare l'incongruità del proprio lento arrendersi alla passioncella che gli nasce dentro. Questo è reso sfruttando le occasioni con perfetto controllo; c'è da dire per equità che le sue sono le più gustose, che il personaggio di Siravo, marito prima disperato poi un po' sornione, è più scontato. Anche qui comunque l'interprete è in palla, e lo stesso vale per la Collodel, valchiria che gioca spiritosamente con la propria stazza atteggiandosi a frivola bambolina d'epoca. Tra le macchiette di contorno, calorosa accoglienza a Gisella Sofio come una zia in visita, provvista di nipote che parla solo inglese (Valentina Piserchia); Natale Russo è un cameriere in bilico tra goffaggine e pomposità. Un meritato applauso si porta via, infine, la giovane Ilaria Cramerotti nel cammeo di una piccantissima dattilografa che arriva come dea ex machina a sciogliere l'intrigo. Due tempi di 50', ottimo umore generale alla prima, che come qui si usa è cominciata con 45' di ritardo, repliche fino al 2 febbraio."
Masolino D'amico 18/01/2003 La Stampa