Teatro - regie

Romeo e Giulietta

DETTAGLIO

Anno: 2003
Titolo: Romeo e Giulietta
Data di debutto: 14/10/2003
Teatro del debutto: Gigi Proietti Silvano Toti Globe Theatre
Città del debutto: Roma

CAST ARTISTICO

Alessandro Averone, Alessandro Albertin, Tony Allotta, Marco Benvenuto, MArtino Duane, Sara Felci, Gianluca Frigerio, MAssimiliano Giovanetti, Lino Guanciale, Crescenza Guarnieri, Valentina Idini, Pietro Iuliano, Urbano Lione, Valentina Marziali, Massimiliano Pazzaglia, Carlo Ragone, Nadia Rinaldi, Danilo Rovani, Novella Selvaggini, Marco Tempera, Enea Tomei, Pablo Torreggiani

CAST TECNICO

Autore: William Shakespeare

Regia: Gigi Proietti

Costumi: Quirino Conti e Enrica Biscossi

Musiche: Stefano Fresi

Disegno luci: Alessandro Velletrani

Progetto fonico: Ernesto Mari

Traduzione e adattamento: Angelo Dallagiacoma

Regista assistente: Loredana Scaramella

Movimenti di scena: Alberto Bellandi

CRITICA

"Quando Gigi proietti parla di contaminatio (contaminazione) , lo fa a ragion veduta. E quando applica questa sua idea di teatro a un teatro classico, Romeo e Giulietta, ad esempio, con il quale ha inaugurato ieri sera, da regista, la vita del Silvano Toti Globe Theatre di Roma, a Villa Borghese, versa nell'operazione le molteplici esperienze di attore maturate sul campo. Ha infatti frequentato, e frequenta, il teatro, il cinema, la televisione, la pubblicità. Di ogni specifico ha sulla pelle i modi, i ritmi, le possibilità, gli effetti. Così, di fronte alla storia immortale degli amanti di Verona, dramma giovanile di Shakespeare, non ha tradotto il dramma in fedele tradizione, né, tantomeno, l'ha trasformato in esperimento snob. Il suo spettacolo ha davvero (ed era negli intenti) un segno di nobile popolarità che lo rende cibo per i giovani e, più estesamente, ricreazione per tutti. Grintoso, fremente, emozionale, corre all'epilogo con l'ingordigia di un torrente, ma senza tralasciare i motivi fondanti della Poesia shakespeariana. E, consumandosi da una scena all'altra, adotta il moto perpetuo dei ragazzi di oggi: il possedersi subito attraverso gli occhi; il volersi totalmente, ignorando l'attesa; il giudicare ostacoli da battere ad ogni costo quelli che si oppongono al soddisfacimento della passione d'amore, siano essi politica, parentela, convenienza, amicizia, rispetto della vita. Ecco allora i due tempi, fulminanti. Nel primo (poco più di un’ora), la conoscenza e l'innamoramento, mentre attorno ai due «desideranti» si dipana la Verona divisa e rissosa dei Capuleti e dei Montecchi, di Tebaldo e Mercuzio, dei loro compagni, dei duelli corsari che sembrano, qui, ora agili scazzottate da stadio, ora estetici scontri da film di cappa e spada. Nel secondo (di un'ora), il grande rap si trasforma in tragedia: frate Lorenzo consegna a Giulietta la fatidica fiala, perché la neo sposa insceni una morte apparente; i Capuleti, dopo la furia con la quale vorrebbero accasare la figlia, adottano il pianto di fronte al corpo presuntamente esanime di lei; Romeo torna dall'esilio per abbracciare il cadavere della moglie e si uccide per non sopravviverle; Giulietta si desta nel sepolcro, vede Romeo senza vita, afferra il pugnale e si suicida a propria volta. Se è davvero Eminem, con le sue scansioni da barrio e le gare in rima fra rapper, a far da cuore al primo tempo, le armonie di Elgar (Variations On   A Original Theme) abbracciano invece il tempo del dolore. Più distanti, benché suggestivi, minuetti e madrigali d’epoca. Gli attori. Un applauso all'intera compagnia del Brancaccio: omogenea, allenata, dedita, appassionata, tutta plausibile. Si ritaglia una presenza impressionante, modernissima, il Mercuzio di Alessandro Albertin, da tenere assolutamente d’occhio. Poi, il sibilante, altero Tebaldo di Carlo Ragone; il duttile Romeo di Alessandro Averone; la Giulietta di Valentina Marziali, Lolita purissima e spudorata; la faconda nutrice di Nadia Rinaldi; il burbanzoso, accomodante, concreto Frate Lorenzo di Massimiliano Giovanetti; il luciferino Benvolio di Danilo Rovani. Assai bello il disegno dei costumi. Negli uomini richiama metafisiche tenute da schermidore, complete di corpetto-corazza che disegna il gioco dei muscoli, di collarini rigidi, galle, stole e accessori cortesi. Le donne indossano parrucche e crinoline, ma dissacrandole senza pietà, così come all'allestimento conviene. Azzeccatissimo il bianco assoluto dei due amanti: in alcuni momenti, ad esempio dentro il tulle del letto nuziale, o fra i velari del sepolcro, crea immagini da quadro preraffaellita sulle quali, vento subitaneo, giunge il ritmo della rappresentazione, che le spazza via. Che altro? Forse l’aura di amore-morte che Proietti, usando una lingua shakespeariana ma attuale, spolvera sull'evento, fra ironia e immedesimazione. Con la generosità l'arte e il mestiere di un grande scrittore di romanzi d’appendice. Alla fine calorosissimi applausi per tutti."

Rita Sala 15/10/2003 Il Messaggero


"Il sindaco Walter Veltroni realizza il progetto di uno spettacolo per celebrare il centenario di villa borghese; e Gigi Proietti il suo sogno di un teatro popolare nel cuore di Roma. E’ il Silvano Toti Globe Theatre costruito in 100 giorni proprio di fronte a Piazza di Siena. La pianta dell'edificio è circolare, tutto è in legno, vi è una platea di posti in piedi e tre ordini di balconate. Si tratta, senza ombra di dubbio, di un'operazione dell’ingegno. A me personalmente restava una perplessità. Alcuni amici che lo avevano visitato durante la cosiddetta "notte bianca", proclamata come festa continua fino all'alba (fu poi quella del blackout), mi avevano giurato che il teatro era coperto. Ma avevo letto interviste di Proietti in cui egli diceva che, essendo stato costruito questo Globe romano sul modello del teatro di Shakespeare, proprio come a Londra, in caso di pioggia sarebbero state distribuite delle mantelline. Il quesito era: il teatro è o no all'aperto? La verità si è rivelata essere nel mezzo. Il Globe è come uno stadio, come lo stadio Olimpico dopo i lavori del 1990: i posti a sedere e il palcoscenico sono coperti da una tettoia. A rischio di pioggia non restano che gli spettatori dei posti in piedi: che poi l'altra sera erano seduti per terra, tutti i ragazzi, tutti entusiasti, tutti i tifosi: gli applausi scattavano a chiusura d'ogni scena. Per l'inaugurazione, Proietti ha presentato Romeo e Giulietta, nella versione di Angelo Dallagiacoma: un testo che permette di coniugare le sue tentazioni o meglio le sue passioni, quella del teatro-teatro e quella del teatro popolare. Viene in mente Coleridge, quando difendeva Shakespeare dall'accusa di aver scritto solo per gli uomini. «Shakespeare-diceva Coleridge-è in realtà un illustratore del carattere femminile e dell'amore in tutte le sue forme. Egli solo ha delineato il carattere femminile con quella mescolanza del reale e dell'ideale che gli è propria». E, ancora più radicalmente: «i suoi personaggi sono una creazione della meditazione più che dell'osservazione o, per dir meglio, più di quell'osservazione che è figlia della meditazione. E’ relativamente facile per un uomo andare in giro per il mondo, come se avesse un taccuino in tasca, annotando accuratamente quello che vede e sente». Così, il Romeo e Giulietta di Proietti non viene meno al compito di porre in luce le sfumature del carattere femminile, specie se si pensa al ruolo della nutrice Nadia Rinaldi: compiacenza, condiscendenza e apprensione coprono come un manto la breve vita di Giulietta, che è Valentina Marziali una Giulietta tutta slanci, forse un po' leziosa. Del resto il Romeo di Alessandro Averone è tutto impeto, scatti, un fascio di solidi nervi: rispetto a lui, Giulietta rappresenta la possibilità di un vero abbandono, di un rapimento. L’oblio, quello eccessivo, assoluto, è ovviamente riservato al Mercuzio di Alessandro Albertin e al Tebaldo di Carlo Ragone: sono due ragazzi in eguale misura pronti a prendere le armi e a sacrificare la propria vita, il primo il nome dell'amicizia e il secondo il nome della nobiltà, ovvero del proprio prezzo per la morte. Nel complesso un Romeo e Giulietta che corre via in modo indiavolato, di sicuro non ci si annoia, Proietti non ricorre ad alcun lenocinio, confermando nella scelta dei costumi semplici ed efficaci, o nel ritmo, la sua vocazione a conferire un'impronta popolare, in un senso buono, ad un'opera eccelsa del teatro di ogni tempo.

Franco Cordelli 16/10/2003 Il Corriere della Sera


"Il robusto legno massello di rovere delle Ardenne di cui è strutturato il nuovo Silvano Toti-Globe Theatre eretto a Villa Borghese, sede l' altra sera del debutto d' un aitante Romeo e Giulietta con messinscena di Gigi Proietti, ha subito immerso il pubblico delle balconate e della platea elisabettiane in un trionfo dell' olfatto. Molto armonico a vedersi, un po' scomodo ma gloriosamente ineccepibile nelle panche piazzate in ogni ordine, l' edificio infatti emana un odore di carpenteria che neanche la copia londinese (in legno di quercia) potè vantare nel ripristino del 1999. Ci voleva un' arena del genere sorta nel verde, un rapporto così fisico e ravvicinato degli spettatori, e una sospensione così architettonica del tempo, per collaudare uno Shakespeare italiano e giovane per età media dei protagonisti, e Proietti ha optato comprensibilmente per un Romeo e Giulietta in chiave di scavezzacolli, di bande dei contrapposti casati Capuleti e Montecchi plasmate come rappanti branchi di rissosi ragazzi in tute nere da scherma, con i due giovani amanti presi da una passione precipitosa come quella degli adolescenti del tutto-e-subito di adesso. Spettacolo dunque temperamentoso e generazionale quello che ha inaugurato uno spazio così importante, e oltre alla riconoscibile e collettiva mano di un Proietti che col Bardo avrà di sicuro altri appuntamenti, c' è l' impatto con i 22 attori della compagnia. La Giulietta della ventiduenne Valentina Marziali, che s' avvantaggerebbe di una presenza più contenuta, è una scoperta sicura ma di strano segno, anche inquietante: il suo corpo in miniatura ha in serbo una tempra d' acciaio da Lolita, una piccola Menina che fa intravedere i lineamenti sotto i veli, volge al nero come una rinascimentale Rosemary di Polanski. Il Romeo di Alessandro Averone è un sano bellimbusto acerbo, una vittima-uomo predestinata. Svetta, figura già prediletta al Bardo, l' intrigante e famigerato Mercuzio del davvero bravo Alessandro Albertin, che quando muore in duello toglie un duende alla commedia-tragedia. E merita una citazione il rigoroso e irriverente Tebaldo di Carlo Ragone. In generale i toni sono un po' esasperati da microfoni che la messa a punto dell' acustica renderà inutili. Il pubblico mostra di apprezzare assai la compagnia, e il teatro duro e schietto che la ospita dedicandogli generosissimi applausi."
Rodolfo Di Giammarco 16/10/2003 La Repubblica