Televisione - sceneggiati & fiction

Piccoli borghesi

DETTAGLIO

Anno: 1968
Titolo: Piccoli borghesi
Ruolo: Nil
In onda dal: 26/11/1968

CAST ARTISTICO

Lina Volonghi, Mario Feliciani, Gianna Giachetti, Vittoria Dal Verme, Bruno Smith, Gigi Proietti, Gianrico Tedeschi, Renato De Carmine, Maria Grazia Antonini, Angiolina Quinterno, Dante Biagioni, Maria Zanoli, Ileana Ghione, Mario Maranzana

CAST TECNICO

Regia: Edmo Fenoglio

Testo: Maksim Gorkij

Traduzione: Flaminio Bollini, Angelo Maria Ripellino

CRITICA
"Non si può dire che il teatro di Massimo Gorki abbia mài avuto una grossa fortuna in Italia, se si toglie il dramma « I bassifondi » che con il titolo « L'albergo dei poveri » venne ripreso parecchie volte (nel 1947 fu la rappresentazione inaugurale del « Piccolo » di Milano) e — in misura assai minore — « Piccoli borghesi » che ieri è stato portato sul video con la regìa di Edmo Fenoglio. «L'albergo dei poveri» e «Piccoli borghesi» sono dello stesso anno, 1902. Ma mentre il primo costituisce nel quadro complessivo della produzione scenica di Gorki un'opera a sé, che si ricollega direttamente e intimamente con i suoi primi racconti, in cui in chiave autobiografica ritrae l'ambiente di sofferenze morali e materiali del miserabili e dei vagabondi, il secondo dà inizio ad una linea dì polemica contro il mondo borghese corrotto o fiacco, pauroso della vita perché incapace di affrontarla, vinto prima ancora di lottare, linea alla quale l'autore, nella sostanza, si manterrà fedele sino agli ultimi copioni, tipo « legar Buliciòv e altri». (E' noto che Gorki, nemmeno dopo il 1917, celebrò la rivoluzione, bensì continuò a descrivere il disfacimento e la mollezza di una certa società rimasta fuori del tempo). In «Piccoli borghesi» ritroviamo uno spirito che è possibile, anche se con un'operazione piuttosto superficiale, ricondurre a Cechov. Non dimentichiamo che « Le tre sorelle » sono del 1901 e «Il giardino dei ciliegi » del 1903. In Gorki c'è la stessa noia e il grigiore e la meschinità della provincia, e gli stessi personaggi che vorrebbero reagire ma non riescono a sottrarti alla loro inerzia di secoli. E' chiaro che entrambi vivono nella stessa epoca di malessere e di fermenti che avrà la sua prima esplosione nei moti del 1905 e si concluderà -con la rivoluzione bolscevica: ma mentre in Ccchov c'è la rinuncia e la rassegnazione o la patetica aspettazione messianica di zio Vania, che si traduce in un'alta, dolente poesìa crepuscolare, in Gorki la coscienza sociale è più precisa, la denuncia più aspra e circostanziata, l'anelito ad una trasformazione dell'individuo e delle strutture della Russia di principio secolo molto più concreto: il che implica fatalmente l'introduzione di personaggi positivi che stiano a simboleggiare il nuovo corso, le nuove aspirazioni, la nuova realtà che s'impone. Ma a sostenere le sue idee Gorki non ha realizzato né in «Piccoli borghesi» né in tutta l'opera successiva una forma drammatica adeguata: il suo modello è in partenza — e sarà sempre — Cechov, con la sua mancanza d'azione e la sua ricerca di stati, d'animo e di atmosfera attraverso i dialoghi frammentàri. Del resto Gorki se ne rendeva conto tanto che nel 1932 scrisse: «I miei lavori per il teatro sono circa venti, ma si tratta sempre di scene più o meno legate tra loro, in cui il filo del soggetto non è mai mantenuto integro, in cui i caratteri non sono compiuti, né chiari né felici. Il dramma deve essere piena azione... ». Merito del regista Fenoglio è stato quello, a nostro avviso, di tenere presente l'autocritica di Gorki e di non accentuare in nessun momento il tono dispersivo del testo: anzi, ci sembra che sua cura costante sia stata di conferire allo spettacolo una solida compattezza e una vivace animazione che mettessero in evidenza il contrasto tra il padre cocciuto e i figli imbelli e la sana spinta verso la vita che prova invece il figlio adottivo Nìl. L'impostazione — unita a qualche taglio — ha facilitato, pensiamo, l'avvicinamento del pubblico di oggi ad un copione di quasi settant'anni fa. Peccato che poi, forse non sufficientemente controllati, alcuni attori siano in parte mancati alla prova, calcando battute e atteggiamenti in modo troppo esteriore e teatrale. Citiamo un interprete di solito misurato come Felìciani il quale nel ruolo del vecchio padre recitava con uno stile che sarebbe andato bene sì e no in «Pane altrui» di Turgenov, che è di mezzo secolo prima; e anche l'ottimo Gigi Proietti, per citare un altro attore, faceva del proletario Nil una figura eccessivamente colorita, un villain anacronistico e non sempre credibile..."
U. Bz., 27/11/1968 La Stampa